Garlasco, ancora dubbi sull’impronta 33. La difesa di Sempio: «Non è sangue, ma sudore»


Continua la discussione sull’impronta n. 33 repertata sulla scena del crimine del delitto di Garlasco. Secondo i consulenti della difesa di Andrea Sempio, infatti, non solo la Procura di Pavia avrebbe sbagliato nell’attribuire la traccia al nuovo indagato, come già aveva fatto sapere la settimana scorsa, ma nell’impronta non ci sarebbero nemmeno tracce di sangue. Secondo i due consulenti di Sempio, Luciano Garofano e Luigi Bisogno, il reperto rilevato sul muro delle scale verso la cantina dove fu trovato il corpo di Chiara Poggi sarebbe una impronta di sudore.
L’impronta 33 non è di sangue ma di sudore
In un’integrazione depositata lunedì 7 luglio, la consulenza di Luciano Garofano e Luigi Bisogno, con cui avevano già contestato le conclusioni dei pm, che attribuivano l’impronta 33 a Sempio, ha aggiunto che la macchia non contiene tracce di sangue, ma di sudore. Secondo la difesa di Sempio, si tratterebbe, infatti, di «una manifestazione fisiologica di contatto per accumulo di sudore». Una nuova posizione della difesa che si aggiunge al più generale quadro secondo cui, come affermano i legali si Sempio, i magistrati della Procura di Pavia erano incappati in un «pregiudizio interpretativo», perché sulla traccia non c’erano «sufficienti segni di corrispondenza». Nell’integrazione prendono in considerazione anche il fatto che già il Ris all’epoca aveva escluso che l’impronta fosse insanguinata. Cosa che gli inquirenti hanno tentato di verificare provando ad andare, senza esito, a recuperare l’intonaco da cui la traccia era stata grattata via per le analisi nel 2007. La conclusione, secondo Garofano e Bisogno, è che si tratta di sudore e non di traccia ematica.
L’impronta lasciata in tre fasi distinte
Consulenti che, poi, tornano a ribadire che la 33 non si sovrappone in modo corretto, e nemmeno con una tolleranza accettabile, a quella di Sempio e spiegano che quell’impronta è stata lasciata in tre fasi distinte, secondo una dinamica definita involontaria e composita. I consulenti, poi, contestano il fatto che gli esperti dei pm potrebbero aver usato un software, anche se non risulta dalla loro relazione, con un’identificazione automatica dei 15 punti per attribuirla a Sempio. Un’individuazione automatica delle minuzie, insomma, non idonea a trattare questo tipo di impronte, perché genererebbe sovrapposizioni e minuzie non fondate morfologicamente.
I dubbi sull’appartenenza della traccia
Per la difesa Sempio non c’è alcuna certezza nemmeno dell’appartenenza a lui di cinque minuzie che erano già state identificate. Le altre, invece, sono solo “interferenze” del muro. Anche una consulenza dei legali della famiglia Poggi, sempre depositata nei giorni scorsi, aveva smontato tecnicamente l’attribuibilità della 33 a Sempio. La difesa del condannato Alberto Stasi, invece, sta lavorando per depositare «osservazioni tecniche» per chiedere ai pm ulteriori accertamenti perché quella impronta appare «densa e carica di materiale biologico», sangue probabilmente, per la difesa Stasi. Per di più la psicologa clinica e forense e criminologa Gabriella Marano ha spiegato a Open che anche se si arrivasse alla conclusione che l’impronta è effettivamente di Sempio, questo non sarebbe un indizio di colpevolezza: «Mettiamo anche il caso che la traccia 33 sia di Sempio – ha detto Marano -. Mettiamo anche il caso che quel Dna sulle mani di Chiara sia di Sempio. Ma il Dna, così come l’impronta, indica presenza, non responsabilità. Che Sempio fosse presente in quella casa e la frequentasse è un fatto noto a tutti».