Esclusiva Open – Parla il rapper Toomaj Salehi, simbolo delle proteste in Iran: «Volevano il mio silenzio ma neanche la morte potrà zittirmi»


In un Paese dove ogni parola fuori posto può costare la libertà, Toomaj Salehi ha scelto di non tacere. Rapper, attivista e prigioniero politico, il dissidente iraniano è diventato una delle figure simbolo della lotta al regime degli ayatollah in Iran. «Volevano il mio silenzio, ma nemmeno la morte potrà zittirmi», dice a Open l’artista. Con la sua musica ha sfidato la censura, la repressione e la violenza della dittatura. Per questo, il tribunale di Isfahan aveva stabilito che doveva tacere. Per sempre. Ad aprile del 2024, Toomaj, 34 anni, è stato condannato a morte per reati considerati tra i più gravi dalla legge iraniana: «corruzione sulla terra», «sedizione», «propaganda contro il regime». Ma a giugno dello stesso anno, la Corte Suprema ha revocato la sentenza capitale.
Più volte la sua musica gli era costata il carcere, dove è stato sottoposto a frustrate e pestaggi. In totale, Toomaj ha passato 735 giorni, 200 in isolamento, di «crudele, ingiusta e ingiustificata prigionia» nella prigione di Isfahan, scriveva nel post Instagram il giorno della sua scarcerazione. Nonostante la tortura subita per mano del regime, il rapper è tornato a farsi sentire con un nuovo album intitolato Siamo ancora vivi: un racconto che attraversa le proteste cominciate nel 2022, affonda nella solitudine del carcere e risale fino alla conquista della libertà. «Ho cercato di dire che noi – coloro che hanno combattuto per la libertà – abbiamo ancora speranza», dice a Open il rapper. «E pur di fronte a tutta la repressione, non siamo spezzati: siamo ancora vivi». Un nuovo inizio.
«Non ho paura di nulla, tranne che di essere un codardo»
Il regime vuole il silenzio, ma lui continua a fare rap. I suoi testi sono spesso politici, la critica al regime di Ali Khamenei e dell’imposizioni della religione islamica nella vita di ogni giorno, diventano il suo obiettivo. «Non ho paura di nulla, tranne che di essere un codardo. Non è la prigione, la tortura o l’assassinio a spaventarmi. Quello che fa davvero paura è non vivere la vita che vuoi vivere», ci spiega. «Dimmi: quale motivazione può essere tanto potente da permettere a qualcuno, dopo 253 giorni di isolamento, di trovare ancora la forza per gridare? – si chiede – Per me, sono gli occhi sorridenti dei bambini, il futuro dei bambini della mia terra è ciò che mi rende indistruttibile».
Durante la guerra tra Iran e Israele scoppiata il 13 giugno 2025, Toomaj era finito nuovamente nel mirino dell’intelligence del regime. Era stato arrestato e trattenuto per cinque ore e infine rilasciato, ma gli era stato intimato di non condividere contenuti critici sui social. Il conflitto, durato 12 giorni, ha infatti segnato un nuovo picco di repressione in Iran: oltre mille persone sono state arrestate spesso con l’accusa di «mercenari di Tel Aviv» o membri di presunte «reti di spionaggio e sabotaggio». Tra loro, in gran parte, attivisti, artisti e dissidenti politici, sottoposti a torture e gravi violazioni dei diritti umani.

«Siamo ancora vivi»
Pur sotto continue minacce, Toomaj ha deciso di lanciare il suo nuovo progetto musicale. Nella canzone Siamo ancora vivi – come il titolo dell’album – il rapper racconta la sua prigionia. «Tutte le ossa che mi avete spezzato si sono ricomposte. E ora continuo la lotta – ci dice -, ancora una volta. Non siete riusciti a cambiarmi con la prigione e la tortura: sono ancora la stessa persona». Tutte e quattro le tracce sono dedicate a qualcuno: «A chi ha perso un familiare durante la rivolta “Donna, Vita, Libertà” e nelle precedenti proteste; a chi ha sopportato torture psicologiche; la terza – prosegue Toomaj – è per i miei sostenitori, che mi hanno aiutato a resistere e, infine, l’ultima canzone è dedicata alle ragazze che sono scese in strada per rivendicare la libertà di scegliere come vestirsi – e, in particolare, a una ragazza che è stata uccisa da un cittadino comune che voleva derubarla e violentarla: si chiamava Elahe Hosseinnezhad».
“Donna, Vita, Libertà” ha creato un senso di unità mai visto prima
Elahe aveva pochi anni in più di Mahsa Amini, la 22enne uccisa, però, dalla polizia morale il 16 settembre 2022 per non aver indossato correttamente l’hijab. La sua morte aveva fatto da detonatore di una rabbia sopita da tempo, innescando proteste che da Teheran si erano rapidamente estese in tutto il Paese. “Donna, Vita, Libertà” era diventato un grido di battaglia, un inno alla rivolta che ha coinvolto non solo le donne, ma un intero popolo deciso a dare l’ultima, decisiva spallata al regime teocratico degli ayatollah. E Toomaj era in prima linea: con la sua musica e i suoi testi ha continuato a incitare alla mobilitazione. «Il movimento “Donna, Vita, Libertà” è stato una vera rivoluzione culturale. Ha creato un senso di unità mai visto prima tra gli iraniani. Ha aiutato persino le fasce più tradizionaliste della società a capire meglio il significato della libertà di scelta nell’abbigliamento. Ha mobilitato quella che chiamiamo “zona grigia”, le persone che di solito restano passive e in silenzio. E ha mostrato alla maggioranza che dire “no” è possibile», ci racconta il rapper.
Questa nuova consapevolezza «è emersa chiaramente anche nelle elezioni presidenziali», afferma. Un appuntamento elettorale in cui la popolazione viene sia spinta che minacciata per recarsi alle urne, ma che ha visto una partecipazione bassissima, segno di un boicottaggio consapevole da parte dei cittadini. Ma oggi, il sogno di Toomaj è un Iran radicalmente diverso: «Un Paese che sia un pilastro della pace globale, non una fonte di conflitto. Un Iran in cui ogni persona possa godere di una relativa prosperità, di pari opportunità per crescere e di una libertà autentica. E sì – conclude – quell’Iran lo costruiremo. A qualunque costo».