Ultime notizie DaziDonald TrumpGazaUcrainaVladimir Putin
ECONOMIA & LAVOROCarovitaConcessioni balneariSpiaggeTurismo

Dalla telenovela sulle concessioni balneari ai canoni, perché le spiagge libere in Italia sono meno del resto d’Europa

13 Agosto 2025 - 17:02 Gianluca Brambilla
spiagge-libere-italia concessioni balneari
spiagge-libere-italia concessioni balneari
In alcune località turistiche di Emilia-Romagna, Liguria e Campania, più del 90% del litorale è occupato da stabilimenti. Vanno meglio Puglia e Sardegna. Legambiente e Mare Libero: «Serve una legge nazionale»

Nell’estate in cui infuria il dibattito sul caro vacanze e i gestori degli stabilimenti balneari lamentano un calo delle presenze sotto l’ombrellone, c’è un’anomalia tutta italiana che da tempo è sotto gli occhi di tutti e contribuisce ad aggravare la situazione: in molte località, l’accesso libero e gratuito al mare non esiste (o quasi). A Rimini, per esempio, oltre il 90% dell’arenile è in concessione a privati, mentre le spiagge libere – che si fermano all’8% del totale – capita che si trovino in prossimità di scarichi fognari o in aree dove vige il divieto di balneazione. «Le spiagge libere sono un ammortizzatore sociale, un calmiere. Più ce ne sono, più persone hanno la possibilità di andare al mare, anche chi – per scelta o per necessità – non usufruisce di uno stabilimento», spiega a Open l’avvocato Roberto Biagini, presidente dell’associazione Mare Libero, che da anni si batte per «liberare il mare e le spiagge e restituirli alla collettività».

Pochi tratti liberi e tante concessioni

Secondo uno studio di Unioncamere, a fine 2023 erano 7.244 gli stabilimenti balneari registrati alle Camere di Commercio. Al primo posto tra le regioni c’è l’Emilia-Romagna con 1.052, ossia il 14,5% del totale nazionale. A completare il podio ci pensano la Toscana (917 stabilimenti balneari) e la Liguria (797). «Grazie ai nostri associati abbiamo il monitoraggio di varie zone turistiche in tutta Italia», spiega Biagini. La Liguria, per esempio, ha l’85-90% delle proprie spiagge in modalità concessoria, ossia non libera, e lo stesso avviene anche per i lidi Ostiensi, nel Lazio, e per il Cilento, in Campania. «In Puglia esiste una regolamentazione diversa, lì esiste un’alternativa vera. Nell’arco di 200-300 metri i cittadini hanno la possibilità di scegliere tra una spiaggia attrezzata e una libera», precisa il presidente di Mare Libero.

La doppia anomalia delle spiagge italiane

Il fatto che l’Italia abbia così pochi tratti di spiagge libere rappresenta un’anomalia innanzitutto giuridica. «L’articolo 36 del codice della navigazione dice che è possibile usare il demanio marittimo per finalità imprenditoriali. Ma quella dovrebbe essere l’eccezione, non la regola. Invece, in Italia si è ribaltata la situazione. Distogliere parte dell’arenile dall’uso pubblico è diventata la normalità», fa notare l’avvocato Biagini. Per quanto riguarda la distribuzione dei poteri, è lo Stato ad avere la competenza sull’uso del demanio marittimo. Ad oggi, però, sono le regioni a occuparsi della pianificazione e, in alcuni casi, a fissare percentuali minime di spiagge libere.

In Puglia, per esempio, si impone ai Comuni di salvaguardare il 60% di spiagge libere e dare il restante 40% in concessione. «Lo stesso – spiega ancora il presidente di Mare Libero – avviene anche nel Lazio, mentre in Sardegna è al 50%. In Emilia-Romagna, poi, c’è una delibera che fissa un obiettivo di spiagge libere del 20% ma a livello regionale, non comunale. Questo significa che, volendo, un Comune come Rimini potrebbe continuare ad avere il 90% di spiagge date in concessione». Il problema è che tutti questi provvedimenti regionali fissano un’indicazione, niente di più. E il risultato, fa notare Biagini, è che spesso quelle stesse indicazioni vengono disattese dai Comuni.

Il confronto con gli altri Paesi europei

La scarsità di spiagge libere è un problema tutto italiano. Se si va a guardare cosa accade negli altri Paesi europei, ci si accorge che la situazione è radicalmente diversa. In Francia, per esempio, l’80% delle spiagge è libero e ad accesso gratuito, mentre il 20% è dato in concessione a privati. In Spagna e Portogallo, altri due Paesi europei con lunghi tratti di costa, le concessioni non esistono affatto. Ai gestori degli stabilimenti balneari viene data una mera autorizzazione per l’uso di spazi demaniali, della durata di cinque o dieci anni, con l’obbligo di rimozione alla fine di ogni stagione.

spiagge libere italia concessioni balneari
ANSA | Ombrelloni chiusi per lo sciopero dei balneari a Civitanova Marche, agosto 2024

L’infinita battaglia sulla direttiva Bolkenstein

Uno dei nodi centrali del dibattito sulle spiagge italiane resta poi il recepimento della direttiva Bolkestein, che impone agli Stati Ue di garantire gare pubbliche per l’assegnazione delle concessioni balneari. Il provvedimento europeo è stato approvato nel lontano 2006 e ancora oggi, a quasi vent’anni di distanza, non è ancora stato recepito dall’Italia, che infatti è andata incontro a una procedura d’infrazione. «L’Europa non impone agli Stati membri di avere spiagge libere. L’Europa dice che gli Stati membri sono liberi di usare a loro discrezione il demanio marittimo, ma se decidono di usarlo per fini imprenditoriali devono dare la possibilità anche a tutti i soggetti degli altri Stati membri di accedere», ricorda Biagini.

Dal 2006 ad oggi, nessun governo ha osato mettere mano alle concessioni balneari. «La colpa è di tutta la politica. Negli ultimi decenni si sono alternati governi di ogni colore e orientamento. Il risultato è che tutti hanno preferito salvaguardare il privilegio dei balneari», attacca il presidente di Mare Libero. L’ultima proroga alla scadenza delle attuali concessioni è stata approvata dal governo Meloni, che ha dato tempo fino al 30 settembre 2027 per indire le gare pubbliche, concedendo degli indennizzi ai concessionari uscenti. A complicare ulteriormente la situazione ci hanno pensato le sentenze di diversi tribunali amministrativi regionali, che hanno disapplicato le proroghe, ritenendole incompatibili con il diritto Ue.

Prezzi da libero mercato, ma i canoni no

Ma quando si parla di spiagge, c’è un altro fattore da tempo al centro delle polemiche. Se è vero che i gestori degli stabilimenti balneari possono applicare il prezzo che desiderano per il noleggio di lettini e ombrelloni, il canone che devono versare ogni anno allo Stato per l’utilizzo della spiaggia è fermo da anni ai livelli tra i più bassi d’Europa. Nel 2022, secondo un’elaborazione di Truenumbers sui dati del Mef, il settore ha fatturato 31,9 miliardi di euro. Eppure, il gettito incassato dallo Stato per l’«affitto» delle spiagge è stato di appena 115 milioni di euro. Una cifra irrisoria, come ammesso di recente anche da Flavio Briatore: «È vero, sarebbe giusto che pagassi molto di più. Al demanio abbiamo sempre pagato poco o niente», confessò l’imprenditore in un’intervista al Corriere della Sera. Il suo Twiga, uno dei locali più esclusivi di Forte dei Marmi, paga una quota annuale di poche migliaia di euro, anche a fronte di un fatturato da svariati milioni di euro.

protesta spiagge libere napoli
ANSA/Cesare Abbate | Una protesta per le spiagge libere a Napoli

La mappatura «farlocca» delle spiagge italiane

Se finora non sono state citate percentuali esatte di quante spiagge italiane siano libere, il motivo è piuttosto semplice: non esistono dati ufficiali in merito. Nel 2023, il governo avviò una mappatura che avrebbe dovuto risolvere la questione una volta per tutte, ma le cose presero una piega inaspettata. «Fu una mappatura farlocca. Doveva servire a dimostrare che la spiaggia non era una risorsa scarsa, così da giustificare la mancata applicazione della direttiva Bolkenstein da parte dell’Italia», spiega a Open Sebastiano Venneri di Legambiente. Dai dati del ministero emerse che appena il 33% delle coste italiane è oggetto di concessioni, mentre il restante 67% è libero.

Per arrivare a questi numeri, però, il governo utilizzò dei parametri bizzarri, calcolando non le spiagge effettivamente accessibili, ma anche il perimetro dei moli e delle banchine dei porti, così come dei tratti di litorale occupati da falesie oppure da impianti industriali. Le conclusioni di quella mappatura furono subito contestate non solo dalle associazioni ambientaliste ma anche dalla stessa Commissione europea, che chiese al governo di rifare tutto da capo. «Il risultato è che l’unica mappatura delle spiagge che doveva essere fatta, è sbagliata. Quindi ad oggi esistono solo stime», fa notare Venneri.

Mare Libero e Legambiente: «Serve una legge nazionale»

Mentre i governi passano, il problema della scarsità di spiagge libere rimane. E l’unico modo per garantire ai cittadini più lidi liberi e accessibili – insistono sia Biagini che Venneri – è arrivare a una svolta normativa nazionale. «Serve una legge che dica chiaramente: almeno il 50% delle spiagge in ogni Comune deve essere lasciato alla libera e gratuita fruizione», dice il presidente di Mare Libero. Anche l’attivista di Legambiente è della stessa idea: «Soluzioni come quelle applicate da Sardegna e Puglia, ossia con almeno il 50% di spiagge lasciato libero, vanno applicate a livello nazionale. Nel frattempo, anche i Comuni possono darsi da fare e attivarsi».

Foto copertina: ANSA/Claudio Giovannini | Una veduta aerea degli stabilimenti balneari della Versilia, 16 Agosto 2024


leggi anche