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«Niente sport e amici, sempre chiusi in camera», l’allarme di Marco Crepaldi sugli Hikikomori. I soggetti più a rischio e le ragioni del fenomeno

20 Agosto 2025 - 16:43 Cecilia Dardana
hikikomori 15enne pugni scatti ira
hikikomori 15enne pugni scatti ira
Secondo le stime, in Italia gli Hikikomori, termine giapponese che descrive chi sceglie il ritiro sociale estremo, potrebbero essere fino a 200 mila

Un fenomeno silenzioso, che coinvolge decine di migliaia di famiglie italiane. Ragazzi e ragazze che smettono di andare a scuola, rinunciano alle amicizie, si chiudono nelle loro stanze fino a interrompere anche il dialogo con i genitori. Sono gli “hikikomori“, termine giapponese che descrive chi sceglie il ritiro sociale estremo. In Italia, secondo le stime, potrebbero essere fino a 200mila. A lanciare l’allarme è Marco Crepaldi, psicologo e presidente dell’associazione Hikikomori Italia, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera: «Tutti gli studi – anche quelli dell’Istituto superiore di Sanità e del Cnr – valutano che i ragazzi nella prima fase, quella dell’abbandono della socialità, siano tra i 50 e i 70mila. Ma abbiamo censito anche numerosi casi di fase tre, quando la porta della stanza si chiude e finiscono i rapporti persino con i genitori. In tutto si può parlare, è una stima, di circa 200mila casi».

Quali sono le fasi che attraversano gli hikikomori

Crepaldi distingue tre stadi del fenomeno. «La prima è la pre-hikikomori. Il ragazzo o la ragazza va a scuola con difficoltà, mostra insofferenza e inizia ad abbandonare attività sportive e uscite con gli amici. Il rischio è che lo stress legato all’ansia del giudizio e alla paura del confronto con i pari porti a un burnout, a un esaurimento delle energie nervose e motivazionali». La fase due coincide con l’abbandono scolastico: «È quella conclamata. Il ragazzo non va più a scuola e spesso si commettono errori gravi, come staccare internet o forzarlo con minacce a tornare in aula. Invece andrebbe studiato un piano didattico personalizzato, perché molti di questi adolescenti vivono lo spazio scolastico come opprimente, anche per episodi di bullismo o per la pressione dei voti». Infine la fase tre, la più critica: «È quella dove si rompe l’alleanza genitore-figlio. Padre e madre vengono percepiti come fonte di ansia sociale al pari del mondo esterno. Se un ragazzo non esce più dalla camera da letto, i genitori hanno margini di manovra molto bassi. Per questo noi costituiamo gruppi di auto aiuto per madri e padri in tutta Italia».

I soggetti più a rischio e le ragioni del problema

Secondo i dati raccolti dall’associazione, l’hikikomori riguarda soprattutto ragazzi: «Otto genitori su dieci che ci contattano hanno figli maschi. E i casi più cronici, quelli di isolamento da dieci o vent’anni, sono quasi sempre uomini». Alla base, spiega Crepaldi, ci sono diversi fattori: «I giovani di oggi avvertono forti pressioni di realizzazione sociale. I social alimentano il confronto costante con gli altri, la paura di non essere all’altezza. Inoltre, l’hikikomori non sembra esistere nei Paesi poveri. È un ritiro possibile solo nelle società ricche, che offrono garanzie familiari o di welfare. Non è un rifiuto della vita, ma della vita sociale». C’entra anche il cambiamento della famiglia: «Tre dei Paesi con più hikikomori sono Giappone, Corea del Sud e Italia, accomunati dalla denatalità. Meno figli significa maggiori pressioni e maggiore protezione. L’hikikomori appare come un adolescente che non riesce a diventare adulto, che sviluppa un legame morboso con i genitori e non riesce a separarsene».

Il cambiamento climatico, la precarietà, gli scenari politici

A pesare, aggiunge lo psicologo, è anche lo scenario generale: crisi ambientali, precarietà, paura della guerra. «I ragazzi si ritirano da una società che non sentono aderente ai propri valori. Sui social prevalgono notizie ansiogene, pessimistiche. Si diffonde il fenomeno del doomscrolling, lo scorrere compulsivo alla ricerca di cattive notizie. L’hikikomori è l’opposto dell’attivismo: non pensa che la società possa cambiare, quindi qualunque sforzo nel presente appare privo di significato».

Come riconoscere i segnali

Secondo Crepaldi, i primi campanelli d’allarme sono a scuola: «Il ragazzo che non si alza al cambio dell’ora, che all’intervallo non parla con nessuno, che all’interrogazione suda e manifesta ansia. A casa, invece, è l’abbandono della socialità: niente sport, niente amici, sempre chiuso in camera». Agli insegnanti Crepaldi dice: «Formatevi e non pensate che sia un capriccio. Non bocciate, perché la bocciatura in questi casi può significare condannare un ragazzo all’isolamento definitivo». E per i genitori: «Non ridimensionare il problema e non pensare che sia solo del figlio. Bisogna mettersi in discussione, fare un percorso personale, unirsi ai gruppi con altri genitori. Un errore comune è usare la paura come leva: “Se non ti diplomi non farai nulla nella vita”. Ma questi ragazzi di paura ne hanno già troppa. Non serve aggiungerne altra. L’unica strada è opposta: pazienza, ascolto, speranza».

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