Femminicidio Cinzia Pinna, Ragnedda cambia ancora versione: «Parlava di Satana». I dubbi sullo stupro: cosa non torna nella confessione


La versione di Emanuele Ragnedda continua a cambiare. Il delitto è passato da assassinio di Cinzia Pinna a istinto di autodifesa di fronte a una tentata aggressione fino a omicidio per paura: «A un certo punto ha iniziato a parlare di Satana, è andata in cucina e ha preso un coltello. Mi ha ferito di striscio a un braccio. Allora ho afferrato la pistola che si trovava su un mobile e ho sparato. Tre colpi, e lei è caduta sul divano». L’imprenditore sardo ha parlato così di fronte agli inquirenti, che hanno convalidato il fermo in relazione alla 32enne scomparsa lo scorso 11 settembre a Palau e ritrovata cadavere in una delle tenute del rampollo della famiglia vinicola.
Cosa non torna delle versioni di Emanuele Ragnedda
I dati in mano agli inquirenti sono tanti, quelli certi si contano sulla punta delle dita di una mano. Si sa che Pinna, la sera dell’11 settembre, è salita su un’auto intestata a Ragnedda. Si sa che nella sua tenuta è stata ritrovata cadavere, con addosso solamente la maglietta. E si sa che a premere il grilletto, che fosse per autodifesa o meno, è stato proprio l’imprenditore 41enne reo confesso. Molte sono le lacune, a partire dalla presunta ferita al braccio che la donna gli avrebbe inflitto. Perché, a due settimane dai fatti, non sarebbero visibili segni. Non convince neanche il racconto di come abbia spostato il cadavere: «L’ho fatto da solo, con un quad. Dopo ho consegnato a un amico il mio cellulare».
L’autopsia e il dubbio sull’aggressione sessuale
«Non la conoscevo benissimo. Quella sera le ho dato un passaggio. Siamo andati a casa, ci siamo drogati e abbiamo bevuto. Non ci sono stati rapporti». Si dice addolorato, ma per 14 giorni ha dato feste e ha svolto la sua vita normalmente mentre in giardino aveva il cadavere di una donna: «Dice che chi ci ha rimesso di più in questa vicenda è lei», ha riportato uno dei suoi legali. «Ha detto: “È una scelta che non avrei mai voluto fare, è la scelta peggiore che ho fatto”». I vestiti della donna erano sparsi per casa sua, ma l’indagato non sa spiegare il perché: «Non ricordo». Sarà l’autopsia a dire se ci sia stata o meno un’aggressione sessuale.