Soldati italiani in missione a Gaza? L’idea di mandare carabinieri e genio militare: la missione più rischiosa che può chiedere Trump


Giorgia Meloni prepara la missione di domani in Egitto, dove sarà siglata la pace tra Israele e Hamas. Consapevole che già lungo le coste del Mar Rosso dovrà consegnare alla Casa Bianca e ai media qualche progetto concreto per Gaza, come scrive Repubblica. Offrirà dunque la disponibilità italiana sul fronte della governance della Striscia, con un possibile posto nel board previsto per la fase della transizione. Ma anche per la stabilizzazione e la ricostruzione. Le idee sono diverse. Una, rilanciata ieri dall’Ansa, prevede che siano gli italiani a rimuovere mine terrestri e ordigni bellici a Gaza. L’operazione, in realtà di massima complessità e non priva di rischi, sarebbe affidata al Genio dell’esercito.
La missione con 200 carabinieri per addestramento e affiancamento
Scenari complessi, per buona parte da definire visto che dipendono da diversi fattori. Innanzitutto le richieste dell’amministrazione Trump. E ancora, eventuali risoluzioni delle Nazioni Unite, che fornirebbero il cappello giuridico per schierare soldati nella regione. C’è però una distanza tra le ambizioni dell’esecutivo e la realtà dei fatti, in questa fase. Ed è legata ai pericoli e alle incertezze di una spedizione del genere in un’area devastata da due anni di guerra. Per di più l’esperienza della missione italiana Unifil in Libano, più volte sfiorata dai razzi israeliani, richiama la necessità di maggiori garanzie. Perciò, spiega il Messaggero, la premier preferirebbe che la Forza internazionale di sicurezza messa in piedi dai Paesi arabi fosse sotto l’egida dell’Onu. Il principale nodo, in queste ore, riguarda i paletti da fissare per l’eventuale missione dei carabinieri. Sarebbero 200 e dovrebbero occuparsi di mentoring. Questo, almeno, è lo scenario su cui ragiona l’esecutivo. Tecnicamente, significa due cose: addestramento e affiancamento.
L’impegno complicato a Gerico o la formazione a Vicenza
Il primo impegno, sulla carta, potrebbe realizzarsi a Gerico, in Cisgiordania. Se non fosse che in questo momento proprio Gerico è sotto stretto controllo israeliano, rappresentando una delle faglie peggiori nella contrapposizione tra palestinesi e coloni. La presa dell’Anp in quella zona, insomma, è soprattutto formale: difficile per Roma, in questo contesto, fare progetti a breve termine.
In alternativa, esiste il centro di formazione di Vicenza, in cui opera l’Arma formando reclute da tutto il mondo. Lì gli italiani potrebbero ospitare in una primissima fase questi gruppi di aspiranti agenti palestinesi. Quanto all’eventuale azione di affiancamento dei carabinieri nella Striscia, vale lo stesso principio: Roma al momento la considera possibile, ma solo in una seconda fase (nella prima, come è noto, su quel terreno saranno schierati quasi esclusivamente militari dei Paesi arabi o islamici).
Perché chiedono i carabinieri
Anche l’opzione di sminare la Striscia non è scontata. E d’altra parte, è di poche settimane fa l’accelerazione e la successiva frenata di Roma sul progetto di inviare in Ucraina – in caso di accordo di pace – esperti capaci di bonificare terre e mari. Resta comunque la volontà di Meloni di aprire all’impiego dell’Arma. «Vi siete chiesti – ha domandato ieri Guido Crosetto alla festa del Foglio – perché palestinesi e israeliani chiedono i carabinieri italiani? Perché nel mondo non sono abituati a vedere un militare che prima di puntarti l’arma ti tende la mano». Il ministro auspica un coinvolgimento globale per Gaza e aggiunge: «Dobbiamo ridare forza all’Onu».
Gli aiuti con il programma «Food for Gaza» e il piano per le case
Da parte italiana non ci sarebbe solo l’apporto in termini di sicurezza, ma anche sul fronte degli aiuti. Tra gli obiettivi a cui lavora la Farnesina c’è quello di irrobustire l’operazione Food for Gaza. Allo stesso tempo, dovrebbero arrivare promesse di massima per la ricostruzione. «Siamo pronti a partecipare con i nostri militari ad una missione di pace e sicurezza – dice Antonio Tajani, dopo aver sentito il segretario di Stato Usa Marco Rubio – E disponibili con le nostre imprese a ricostruire Gaza, partendo da scuole e ospedali».
Come ricorda il Messaggero, c’è un po’ di Italia anche nella mappatura fatta svolgere dall’Onu sulla ricostruzione di Gaza ormai rasa al suolo. Al dossier hanno lavorato anche due ricercatori italiani dell’Università Iuav di Venezia. Si tratta di un progetto co-finanziato con 5 milioni di euro, che punta alla costruzione di «cellule abitative modulabili ed estendibili» per i gazawi sfollati.
Altro contributo italiano potrebbe arrivare sul piano sanitario. È già partito per Amman e Karak, in Giordania, una squadra della Cooperazione internazionale della Farnesina che dovrà fare un sopralluogo nei due ospedali locali. Questi dovrebbero funzionare da hub per la cura sul posto dei palestinesi. Un secondo livello di assistenza sarà invece fornito dall’ospedale italiano del Cairo.
Il voto in Parlamento nel 2026
I prossimi passi finiranno inevitabilmente per chiamare in causa il Parlamento. Quando, però, è da stabilire. Per organizzare una spedizione dell’Arma in quell’area occorrono alcuni mesi. Il decreto missioni è atteso a inizio del 2026. Resta la possibilità, ma su questo Meloni prenderà una decisione solo dopo la firma degli accordi in Egitto, di coinvolgere comunque le Camere già nelle prossime settimane.