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«Mio padre era carabiniere con il cuore». Il ricordo del figlio Christian su papà Valerio Daprà, morto nell’esplosione di Castel d’Azzano

19 Ottobre 2025 - 08:37 Ugo Milano
valerio daprà
valerio daprà
Il figlio di uno dei militari uccisi nella strage al Corriere della Sera: «L'abbraccio di Mattarella? Come quello di un nonno»

«Mi sono sentito асcolto, come se fosse stato un familiare. Come se fosse stato mio nonno ad abbracciarmi per cercare di confortarmi dopo la perdita di mio papà». Queste le parole al Corriere della Sera di Christian, figlio di Valerio Daprá, 56 anni, in servizio al nucleo operativo radiomobile di Padova fino al giorno della sua morte, nell’esplosione del casolare dei fratelli Ramponi a Castel d’Azzano nel veronese. Il suo intervento, commosso, ai funerali di Stato, è finito su tutti i media. Ricorda l’abbraccio ricevuto dal presidente della repubblica Sergio Mattarella. Come se fosse quello di un nonno. Papà Valerio per anni ha prestato servizio a Roma, ad Ancona, a Livorno e nelle missioni in Somalia, Afghanistan e Kosovo. Dopo un primo matrimonio da cui era nato Christian, stava vivendo un nuovo capitolo della sua vita, con l’attuale compagna Sandra.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella parla con i familiari dei tre carabinieri morti a Castel D’Azzano (Verona) durante i funerali nella basilica di Santa Giustina a Padova, 17 ottobre 2025. ANSA/Raffaele Cesarano

Un padre presente

«Presente, un padre presente. Non siamo stati sempre insieme nel corso delle nostre vite. Io vivo ad Anzio, nel Lazio. Lui aveva un lavoro che gli richiedeva di spostarsi. Se non c’era era solo perché era impegnato nel suo dovere, spesso all’estero in missione. Se non era a lavorare, però, la famiglia era la sua priorità. Mi sono sentito, e mi sento anche adesso, un figlio fortunato. Ero piccolo quando Valerio e Carole si sono separati. Sono rimasti sempre in ottimi rapporti e non mi hanno mai fatto mancare nulla. Quando mio padre si è trasferito a Padova, poi, ci siamo sempre tenuti in contatto costante», racconta il giovane. «Da piccolissimo mio padre mi portava in giro per casa a cavalluccio sulla sua schiena. Quando stava ancora insieme a mia mamma Carole – ricorda – andavamo spesso a sciare. A casa me lo ricordo sempre impegnato, era la classica figura del “tuttofare”: sistemava cose, sistemava gli oggetti e li riparava con impegno. Proprio per questo poi abbiamo cominciato a condividere anche la passione per gli orologi: io avevo circa dieci anni, lui mi mostrava come aggiustarli e passavamo molto tempo insieme».

«Mio padre carabiniere con il cuore»

«Mio papà si è speso tutta la vita, fin da quando ero piccolo, perché io potessi imparare a distinguere tra ciò che è giusto e ciò che é sbagliato. Solo allora diventava severo, affinché lo capissi l’importanza di saper vedere le cose con attenzione. Una severità che era, anche quella, umana. Voleva anche che ricercassi il bene: mio pаdre non era un carabiniere di professione, lo era con il cuore». Christian oggi fa il programmatore. «Da lunedì – spiega – le cose sono cambiate: il passato è doloroso ma vivo, il pre sente è adesso e il resto è da vedere. Vedrò cosa mi riserverà il futuro: al momento sono interessato a portare avanti suo lascito, che è tutta la persona che lui era. Voglio essere l’uomo che lui voleva che io fossi».

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