«Il fallimento non è la fine, è l’inizio di un dialogo». L’UnConference 2025 contro la povertà educativa in Europa – I video

Due giorni di dialogo, confronto aperto e visioni condivise. Quarantotto ore in cui i rappresentanti delle organizzazioni non profit sostenute da UniCredit Foundation per promuovere l’accesso all’istruzione in contesti di particolare marginalità in Austria, Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Germania, Ungheria, Italia, Romania, Serbia e Slovacchia, paesi in cui il Gruppo è presente, si sono riuniti per affrontare una sfida comune e urgente: contrastare la povertà educativa giovanile in Europa. È accaduto all’UnConference organizzata da UniCredit Foundation, un appuntamento pensato per mettere in rete e far dialogare le associazioni europee che, anche grazie al supporto e ai finanziamenti della Fondazione, portano avanti iniziative rivolte ai giovani in età scolastica. L’evento ha permesso ai partecipanti di condividere idee, strategie ed esperienze tra realtà accomunate dalla stessa missione: rimettere gli studenti al centro e ampliare le loro opportunità educative, perché l’istruzione resta il più potente strumento per ridurre le disuguaglianze e costruire un futuro più giusto ed equo per tutti.
Oltre il successo: una nuova grammatica del cambiamento
L’UnConference ha volutamente spostato lo sguardo oltre il centro dell’inquadratura, verso ciò che solitamente resta ai margini, quei contesti in cui i sistemi educativi scricchiolano e dove la disuguaglianza emerge con maggiore evidenza. Ma i margini sono anche – come ricordava bell hooks – «luoghi radicali di possibilità», spazi di resistenza da cui leggere il presente con maggiore chiarezza e immaginare alternative possibili. Ed è proprio da qui che UniCredit Foundation ha scelto di partire, introducendo un tema raramente affrontato nel rapporto tra donor e organizzazioni finanziate: il fallimento.
L’idea di dedicargli uno spazio di riflessione nasce dalla convinzione che una relazione autentica con le realtà che operano sul territorio e basata su un rapporto di reciproca fiducia si costruisca solo quando c’è la libertà di condividere non soltanto ciò che funziona, ma anche ciò che non sta andando come immaginato. In questa prospettiva, anche la raccolta dati e il monitoraggio non sono vissuti come strumenti di controllo, bensì come strumenti di comprensione, pensati per aiutare tutti – ente erogatore e partner – a leggere insieme la complessità dell’intervento educativo.
In questa cornice trova spazio una nuova consapevolezza la vera risorsa è la comunità. La rete, fatta di scuole, operatori, organizzazioni e persone che a ogni livello, su base quotidiana agisce nei territori trasformando le sfide in un’occasione di apertura e crescita. Una comunità di cui la Fondazione non è un osservatore esterno, ma un attore attivo e responsabile della sua crescita. «Questa UnConference nasce dal desiderio di riflettere insieme su ciò che spesso resta ai margini dei racconti di successo: le fragilità, le fatiche e anche i fallimenti di chi lavora per generare cambiamento. Crediamo che il fallimento non sia una battuta d’arresto, ma l’inizio di un dialogo», ha sottolineato Silvia Cappellini, direttrice generale di UniCredit Foundation.
Cinque round tables, cinque frontiere della fragilità educativa

L’evento si è sviluppato attraverso momenti di svago, attività di gruppo e cinque tavoli di lavoro, ciascuno dedicato a una diversa linea di frattura del sistema educativo europeo. I partecipanti hanno discusso di fragilità istituzionale, interrogandosi su ciò che accade quando le scuole mostrano disfunzioni o inerzie e su come le organizzazioni provino a colmare quei vuoti ricucendo, compensando o trasformando il contesto.
Si sono, inoltre, confrontati anche sui fallimenti educativi, analizzando con onestà i progetti che non hanno raggiunto gli studenti e riflettendo sulle cause e sulle lezioni che ne derivano. Un altro tavolo ha portato l’attenzione sulle comunità più fragili, quei territori segnati da isolamento e sfiducia in cui spesso non arriva nessuno, ma dove esistono comunque spazi di possibilità e intervento. Un ulteriore confronto ha riguardato la solitudine degli operatori sociali, mettendo in luce il peso emotivo e professionale di chi lavora quotidianamente con la vulnerabilità e la necessità di sostenere anche chi si prende cura degli altri.
Infine, si è discusso di come fare rete attraverso il fallimento, riconoscendo che la condivisione delle difficoltà può diventare il punto di partenza per costruire alleanze più solide, fiducia reciproca e nuove forme di collaborazione. Da questo intreccio di esperienze è emersa una convinzione comune e cioè che il cambiamento reale non nasce da un’aderenza fittizia a un modello, spesso ideale, ma dalla vulnerabilità condivisa e dal coraggio di affrontarla insieme.
«Pazienza, fiducia e accettare che si possa fallire»
«È fondamentale rafforzare le organizzazioni che stanno dietro a queste iniziative. Servono sia le persone che operano sul campo sia quelle che rendono possibile quel lavoro. Entrambi sono essenziali», ha dichiarato Simona Costanzo Sow, responsabile partenariati accademici dello UN Staff College e membro del board di UniCredit Foundation. La trasformazione, infatti, richiede infrastrutture solide, continuità e la capacità di sostenere nel tempo chi ogni giorno prova a cambiare la vita dei giovani europei. Ma richiede anche «pazienza e fiducia». E soprattutto la disponibilità ad accettare che «si possa fallire». È un percorso lungo, fatto di tentativi, cadute, ripartenze: passo dopo passo, fallimento dopo fallimento, rinascita dopo rinascita.
A ricordare la forza della collettività è stato anche il momento finale organizzato da UniCredit Foundation che ha coinvolto tutti i presenti in un’attività speciale: il coro. Amy Barton, già direttrice del Coro UniCredit, ha diretto i partecipanti in un’attività di gruppo che ha trasformato simbolicamente l’UnConference in un’unica voce composta da tante tonalità diverse. In un coro, non importa stonare, sbagliare una nota o non saper leggere la musica. Non contano i titoli, la lingua, la cultura o le differenze di prospettiva. Conta affidarsi a chi ti sta accanto, ascoltare davvero, sapere che puoi contare su chi ti sta accanto. Ed è forse in questa armonia imperfetta ma condivisa che si ritrova il senso più profondo dell’evento, ovvero costruire insieme qualcosa che nessuno, da solo, potrebbe mai realizzare.

