Obesità, una malattia anche per la legge: Italia prima nel mondo ma cosa cambia davvero e a quali cure si può accedere?

L’obesità è oggi uno dei capitoli più urgenti della sanità pubblica italiana. I numeri continuano a crescere e coinvolgono ormai una quota sempre più ampia della popolazione, adulta e pediatrica. È una tendenza che il Paese osserva da anni, mentre accanto a essa si affacciano fenomeni che raccontano un bisogno di cura spesso lasciato scoperto: l’interesse per terapie strutturate, l’uso autonomo di farmaci di nuova generazione e persino acquisti online di prodotti non autorizzati, che trasformano la ricerca di una soluzione in un rischio aggiuntivo.
In questo scenario l’Italia compie un passo senza precedenti, diventando il primo Paese al mondo a riconoscere formalmente l’obesità come malattia cronica. Un passo che cambia la cornice con cui questa condizione viene letta: non più solo un problema legato allo stile di vita o a responsabilità personali, ma una patologia che richiede continuità assistenziale, percorsi strutturati e un coinvolgimento più chiaro del sistema sanitario. Il riconoscimento istituzionale, però, apre subito una serie di domande concrete. Che cosa cambia, davvero per i pazienti? Quali percorsi di cura e quali strumenti servono per una necessità di cura sempre più evidente?
L’obesità come malattia
Con l’approvazione della nuova legge, il Parlamento ha stabilito per la prima volta che l’obesità debba essere riconosciuta come malattia cronica, progressiva e recidivante. Si tratta di una definizione che va oltre la classificazione clinica già prevista nei sistemi internazionali e che introduce un elemento distintivo: attribuisce al sistema sanitario un dovere esplicito di presa in carico. La formula tecnica descrive quindi tre elementi che caratterizzano l’obesità così come oggi viene riconosciuta dalla comunità scientifica:
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• cronica, perché non si tratta di una condizione temporanea o legata a un momento della vita: richiede continuità, monitoraggio costante e interventi che accompagnano il paziente nel lungo periodo, esattamente come accade per altre malattie non trasmissibili come per esempio il diabete, o l’ipertensione.
• progressiva, perché in assenza di interventi adeguati tende a peggiorare nel tempo: aumentano il peso, le complicanze metaboliche e cardiovascolari e cresce il rischio di sviluppare altre patologie.
• recidivante, perché anche dopo un miglioramento clinico, una perdita di peso o una stabilizzazione metabolica, esiste una forte probabilità di ritorno alla condizione precedente. È un fenomeno noto: il corpo tende a recuperare il peso perso, e senza un supporto continuo, il percorso si interrompe facilmente.
La scelta dell’Italia
La decisione stabilisce un cambio di passo rispetto a quanto previsto a livello internazionale, dove il riconoscimento dell’obesità come malattia esiste da anni ma rimane circoscritto alle classificazioni cliniche dell’Organizzazione mondiale della sanità. L’ICD-11 dell’Oms, un elenco ufficiale che assegna a ogni patologia un codice e una definizione clinica condivisa a livello globale, descrive le caratteristiche dell’obesità, fornisce criteri utili alla comunità scientifica ma non stabilisce come gli Stati debbano organizzare l’assistenza né quali strumenti rendere disponibili ai pazienti.
La normativa italiana interviene su un livello diverso collocando la definizione medica dell’obesità in un contesto anche giuridico e istituzionale più esplicito. La legge prevede un programma nazionale e un osservatorio dedicato introducendo una cornice che, nelle intenzioni, dovrebbe orientare la costruzione di percorsi più strutturati. È questo il motivo per cui l’Italia viene considerata il primo Paese al mondo ad aver compiuto un passo simile. La legge prevede inoltre l’istituzione di un programma nazionale dedicato e di un osservatorio permanente, segnando un impegno formale che fino a oggi nessun altro Stato aveva tradotto in una norma organica.
L’obesità in Italia
I numeri registrati in Italia negli ultimi anni mostrano una tendenza costante: l’obesità non è più un fenomeno circoscritto, ma una condizione che coinvolge una porzione crescente della popolazione. Secondo l’Italian Barometer Obesity Report 2024, la quota di adulti con obesità ha raggiunto l’11,8% . Se si considera l’insieme delle persone in eccesso ponderale, cioè il totale di chi rientra nelle categorie di sovrappeso (BMI tra 25 e 29,9) e obesità (BMI pari o superiore a 30), la cifra sale oltre i 23,3 milioni di individui, praticamente un italiano su due. Questa crescita non è episodica. Negli ultimi vent’anni, la quota di persone con un peso superiore ai valori di riferimento è passata dal 42,6% del 2003 al 46,9%.
Le rilevazioni
Le differenze per età completano il quadro: gli ultimi dati ISTAT mostrano come l’obesità sia relativamente rara nelle prime fasce della vita, intorno al 4,4% tra i 18 e i 19 anni, ma aumenti gradualmente fino a superare il 15% nella popolazione tra i 65 e i 74 anni. Un andamento che suggerisce un accumulo di fattori nel tempo e un impatto più elevato nelle età in cui le patologie associate diventano più frequenti.
È un quadro confermato anche dalla sorveglianza PASSI dell’Istituto Superiore di Sanità, che rileva come tra i 18 e i 69 anni il 43% degli italiani sia in sovrappeso o obeso. Con una forte variabilità geografica: valori più alti nelle regioni del Centro-Sud, più contenuti ma comunque significativi nel Nord.
La tendenza coinvolge anche i più giovani: i dati Iss mostrano livelli stabili ma elevati di sovrappeso e obesità nella popolazione pediatrica, indicando che il problema si radica precocemente e rischia di proseguire nell’età adulta.
Cosa cambia ora
Alla luce dei dati, e di un’attenzione crescente anche da parte dell’industria farmaceutica che negli ultimi anni ha accelerato lo sviluppo di nuove terapie dedicate all’obesità, il tema assume oggi una centralità che non aveva mai avuto prima. L’Italia, con il riconoscimento normativo approvato dal Parlamento, si è dotata di una definizione giuridica che pone l’obesità sullo stesso piano delle patologie croniche più diffuse. Ma cosa comporta questa scelta?
Attribuire all’obesità lo statuto di malattia cronica, progressiva e recidivante vale a dire considerarla una condizione che richiede una presa in carico continuativa, non interventi isolati o affidati all’iniziativa del singolo paziente. Da qui derivano alcune conseguenze di principio che dovrebbero orientare l’organizzazione delle cure: la legge prevede l’istituzione di un Programma nazionale dedicato all’obesità e di un Osservatorio permanente. Il Programma nazionale è, nelle intenzioni, un documento strategico che dovrebbe definire obiettivi, standard minimi e priorità di intervento. Funziona come un quadro di riferimento a cui Regioni e strutture sanitarie devono attenersi per organizzare servizi, percorsi diagnostico-terapeutici e prevenzione.
Gli strumenti simili
Strumenti simili esistono già per altre aree: il Piano oncologico nazionale, ad esempio, stabilisce le linee guida per screening, presa in carico e cure palliative; il Piano nazionale diabete definisce gli standard per la gestione dei pazienti cronici. In entrambi i casi, il Programma non eroga cure, ma orienta il modo in cui devono essere organizzate sul territorio. L’Osservatorio permanente è invece una struttura di monitoraggio: raccoglie dati epidemiologici, analizza l’accesso ai servizi, valuta le differenze tra Regioni e fornisce indicazioni tecniche al Ministero.
Anche in questo caso esistono esempi consolidati: l’Osservatorio nazionale screening ad esempio monitora l’andamento dei programmi di prevenzione oncologica; l’Osservatorio malattie rare aggiorna costantemente il quadro dei bisogni assistenziali; il sistema di sorveglianza PASSI dell’ISS svolge un ruolo analogo per i comportamenti di salute. Applicato all’obesità, un osservatorio dedicato avrebbe il compito di descrivere in modo stabile come evolve il fenomeno, dove si concentrano le criticità, quali percorsi funzionano e quali risultano insufficienti. In altre parole, offrirebbe una base dati uniforme, oggi frammentata, su cui costruire politiche più efficaci.
Cosa accade sul territorio
Sul campo, questo si tradurrebbe in alcuni elementi fondamentali. Prima di tutto, la presenza di percorsi diagnostico-terapeutici ben definiti, cioè linee guida operative che stabiliscano come deve essere valutato un paziente, quali figure professionali debbano seguirlo e con quale frequenza. È il modello già utilizzato per il diabete, dove la presa in carico prevede controlli periodici, interventi integrati e un dialogo costante tra medicina generale e specialisti.
In secondo luogo, l’obesità richiede la creazione o il potenziamento di centri specializzati multidisciplinari, in cui lavorino insieme endocrinologi, dietisti, psicologi, medici dello sport, chirurghi bariatrici e altre figure coinvolte. Strutture di questo tipo esistono già in alcune Regioni, ma non rappresentano una rete nazionale uniforme. Un Programma dedicato dovrebbe definire quante strutture sono necessarie, come devono essere distribuite sul territorio e quali competenze minime devono garantire.
La continuità
Un altro tassello fondamentale riguarda la continuità assistenziale, elemento distintivo delle malattie croniche. Significa che, una volta avviato un percorso, il paziente deve poter contare su follow-up regolari, controlli programmati, educazione terapeutica e supporto anche nei periodi di stabilità. È un modello già applicato ai pazienti oncologici o diabetici, per i quali il follow-up è parte integrante della cura.
Gli strumenti a disposizione
Se è vero che il modello verso cui il nuovo quadro normativo vorrebbe spingere il sistema sanitario prevede una presa in carico continuativa, percorsi definiti, centri multidisciplinari e standard omogenei, la realtà sul territorio appare più complessa. L’Italia dispone di competenze solide e di esperienze avanzate, ma l’organizzazione concreta dell’assistenza resta lontana da una configurazione uniforme.
In Lombardia risultano diversi centri accreditati per l’obesità, dalla Società Italiana dell’Obesità, tra cui il Centro Obesità dell’Istituto Auxologico Italiano a Milano e l’Unità di Endocrinologia e Diabetologia, Centro di riferimento per lo studio, la diagnosi e la terapia dell’obesità a Como. In Veneto è attiva una rete regionale per l’obesità che ha definito tre percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali attraverso la “Rete Obesità Veneto”.
E ancora in Piemonte, l’Istituto Nazionale per la Cura dell’Obesità (INCO) ha un centro satellite a Palermo, segno di un modello che cerca di coprire anche il Sud. In Toscana la USL Toscana Nord ha creato un progetto di rete multidisciplinare interaziendale per l’obesità che indica come modello quello della presa in carico globale, prevedendo anche un follow-up successivo al primo anno di trattamento. Si tratta di percorsi che includono valutazione endocrinologica, supporto nutrizionale, intervento psicologico e, quando necessario, accesso alla chirurgia bariatrica all’interno di un unico sistema coordinato.
Le differenze territoriali
Esperienze che non appaiono però uniformi su tutto il territorio nazionale: in molte Regioni del Centro-Sud la presenza di centri multidisciplinari accreditati è del tutto limitata, l’accesso ai percorsi è più lungo e la presa in carico integrata, che combina dietista, psicologo, endocrinologo, chirurgo bariatrico, medico dello sport, è meno sistematizzata.
Un altro elemento che contribuisce alla disomogeneità è l’assenza, in molte regioni, di percorsi diagnostico-terapeutici formalizzati. Si tratta di documenti ufficiali che stabiliscono come deve essere gestita una determinata patologia all’interno del Servizio sanitario. Non sono linee guida astratte ma vere e proprie mappe operative che definiscono i passaggi della cura, dalla diagnosi al follow-up, indicando quali professionisti devono intervenire, con quali competenze, in quali tempi e attraverso quali servizi.
Dove i PDTA non sono stati approvati o implementati, la gestione dell’obesità dipende in larga parte dalla sensibilità del singolo medico o dalla disponibilità dei servizi sul territorio. Questo significa che due persone con la stessa condizione possono ricevere un livello di assistenza molto diverso solo perché vivono in province differenti. Per molte malattie croniche, dal diabete all’insufficienza cardiaca, fino ad alcune neoplasie, i PDTA sono da anni lo strumento che trasforma la cura da somma di interventi isolati a percorso riconoscibile e replicabile.
Il tema della chirurgia
La chirurgia bariatrica rappresenta un esempio emblematico di questa eterogeneità: è disponibile in molti centri pubblici e privati convenzionati, ma l’accesso, i criteri di selezione e soprattutto il follow-up multidisciplinare non sono uniformi. In alcune Regioni l’intervento è inserito in un percorso strutturato che prevede valutazione psicologica, nutrizionale e controlli programmati; in altre, il paziente viene operato ma il supporto successivo rimane meno codificato. Una situazione analoga riguarda l’obesità in età pediatrica, per la quale mancano in molte aree poli di riferimento stabili.
Il nodo dei Lea
Un altro elemento centrale è il fatto che l’obesità non sia ancora inserita nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), e cioè l’elenco delle prestazioni che il Servizio sanitario nazionale è obbligato a garantire a tutti i cittadini, ovunque vivano, gratuitamente o attraverso ticket. I LEA rappresentano il “minimo assistenziale” che deve essere assicurato in maniera uniforme sul territorio: includere una prestazione in questo elenco significa renderla un diritto esigibile e non una scelta organizzativa lasciata alle singole Regioni.
Ne fanno parte, ad esempio, i percorsi per il diabete, gli screening oncologici (mammografia, Pap test, sangue occulto) e le terapie per le malattie croniche respiratorie, che proprio perché inseriti nei LEA sono garantiti da Nord a Sud con una struttura organizzativa definita. È un passaggio che la legge consente ma che dovrà richiedere atti successivi.
I farmaci anti-obesità, accesso e rischi
Nel panorama degli strumenti terapeutici, i farmaci rappresentano il punto di maggiore innovazione ma anche una delle aree più critiche. Le molecole della classe dei GLP-1, come liraglutide e semaglutide, hanno dimostrato a livello internazionale un’efficacia significativa nella gestione del peso, e in Europa sono approvate anche per il trattamento dell’obesità. In Italia, però, il quadro regolatorio è più complesso: Ozempic (semaglutide) e Victoza (liraglutide a basse dosi) hanno indicazione esclusivamente per il diabete di tipo 2, mentre i prodotti specificamente autorizzati per l’obesità, Saxenda (liraglutide 3 mg) e Wegovy (semaglutide ad alto dosaggio), sono inseriti in classe C, quindi non rimborsati dal Servizio sanitario nazionale. La loro prescrizione è possibile, ma interamente a carico del paziente.
Questa distinzione è cruciale: le terapie più efficaci e più diffuse a livello internazionale sono disponibili anche in Italia, ma in un regime che le rende di fatto accessibili soprattutto a chi può sostenerne il costo. Per molti pazienti i prezzi mensili, che possono superare i 250–300 euro, rappresentano una barriera insormontabile, e il mancato ingresso di queste cure nei Livelli Essenziali di Assistenza accentua ulteriormente la disuguaglianza.
Il costo elevato e la difficoltà di reperire prescrizioni appropriate hanno inoltre favorito la crescita di un mercato parallelo online, dove versioni di questi farmaci compaiono a prezzi più bassi ma senza alcuna garanzia. Le cronache hanno già documentato casi di prodotti contraffatti, privi di principio attivo o contenenti sostanze non dichiarate, acquistati da chi tenta di aggirare i costi o i limiti dell’offerta ufficiale. È un rischio concreto, perché queste molecole richiedono monitoraggio medico, controlli periodici e un inquadramento clinico preciso: fuori da un percorso strutturato, possono mettere in pericolo la salute.
Chirurgia bariatrica, liste d’attesa e il nodo critico del follow-up
La chirurgia bariatrica rappresenta uno degli strumenti più efficaci nel trattamento delle forme severe di obesità, i dati riportano una perdita di peso significativa e un miglioramento documentato delle comorbidità metaboliche e cardiovascolari. In Italia negli ultimi dieci anni la chirurgia bariatrica italiana è cresciuta in modo significativo, sia per numero di interventi sia per qualità delle procedure.
A confermarlo tra gli altri uno studio pubblicato nel 2023, Evolution of Bariatric Surgery in Italy in the Last 11 Years, che descrive una rete in espansione, con un aumento progressivo delle procedure e un consolidamento delle tecniche più diffuse, come la sleeve gastrectomy e il bypass gastrico. A questa fotografia si affiancano i dati del Registro Italiano della chirurgia bariatrica, che in uno dei suoi aggiornamenti più ampi ha raccolto un totale di 8.609 casi, offrendo un quadro dettagliato del profilo dei pazienti e delle caratteristiche degli interventi.
Anche le analisi epidemiologiche confermano l’importanza di questi percorsi. Un recente studio nazionale sulle ospedalizzazioni per obesità severa, pubblicato nel 2024, ha rilevato che tra il 2014 e il 2021 si sono registrate 243.325 dimissioni ospedaliere con diagnosi di obesità grave, e che oltre un terzo di questi pazienti, esattamente il 36,8%, ha avuto accesso ad almeno una procedura bariatrica. È una percentuale che mostra come la chirurgia sia già oggi una parte consistente della risposta clinica all’obesità severa, ma anche come una quota rilevante dei pazienti non arrivi mai all’intervento, o perché non viene avviata una valutazione adeguata, o perché i percorsi risultano troppo frammentati o difficili da completare.
In Italia è praticata da équipe altamente specializzate, distribuite soprattutto nelle Regioni con reti sanitarie più strutturate. Il problema non è la qualità clinica degli interventi, ma l’accesso: la disponibilità di centri autorizzati non è omogenea, le capacità operative variano e in molte realtà le liste d’attesa possono estendersi per mesi, sia per la valutazione pre-chirurgica sia per l’intervento vero e proprio. Il punto più critico, però, riguarda il follow-up. La chirurgia bariatrica richiede un percorso lungo e articolato di controlli nutrizionali, metabolici e psicologici. Senza questa continuità, parte dei benefici tende a ridursi e aumentano i rischi di complicanze o di recupero del peso.
I nodi più complicati
Oggi questa componente appare la parte più disomogenea dell’intero percorso: in molte strutture il follow-up è stabile e programmato, in altre appare intermittente e legato alla disponibilità dei professionisti. La differenza anche in questo caso non sta tanto nel singolo centro, quanto nella capacità organizzativa delle reti regionali che definiscono (o non definiscono) standard condivisi per il lungo periodo.
A queste criticità si aggiungono le lacune strutturali del sistema. La disponibilità di psicologi e dietisti dedicati all’obesità è ancora insufficiente in molte realtà locali; l’educazione terapeutica, diffusa nei modelli internazionali come supporto continuo, in Italia è applicata solo in poche aree e con programmi non sempre duraturi. Anche nell’ambito pediatrico, i poli specializzati sono pochi rispetto alle necessità e la presa in carico richiede spesso spostamenti che rendono difficile una continuità reale.
Foto in evidenza di Tania Dimas da Pixabay
