«Un dirigente osò dirgli “Caro Silvio” e durò sei mesi». Il ritratto privato di Berlusconi di un ex dirigente Fininvest

Uno degli enfant prodige del Gruppo della fine degli anni ’80, Bernardo Notarangelo, traccia un profilo pieno di aneddoti del Cavaliere

Uno straordinario venditore; un capo tanto venerato quanto temuto da tutti i suoi, a partire dai dirigenti. Un imprenditore visionario ma pieno di sé, incapace di riconoscere limiti ed errori. Ed un politico fallimentare, se giudicato col metro che lui stesso aveva «settato» in fase di auto-lancio, quello della «rivoluzione liberale». È il ritratto di Silvio Berlusconi, l’ex premier scomparso il 12 giugno a 86 anni, che emerge dai ricordi di chi lo ha conosciuto, da molto vicino, nella fase più impetuosa della sua affermazione professionale e imprenditoriale. A tracciare un profilo ricco di aneddoti, storie inedite e dettagli curiosi è Bernardo Notarangelo, giovane enfant prodige del Gruppo Fininvest sul finire degli anni ’80, per il quale Berlusconi ebbe un’intensa quanto fuggevole infatuazione professionale. Chi era dunque l’astro nascente dell’imprenditoria italiana che sarebbe divenuto il leader politico più divisivo della Seconda Repubblica? Un «grandissimo venditore», in primis. Come rievoca Notarangelo: «Ricordo come, in prossimità di un incontro con clienti pubblicitari, soprattutto imprenditori della ricca provincia italiana, si facesse raccontare particolari degni di nota – ad esempio che il figlio dell’imprenditore X si era diplomato con 60/60. Studiava e si ricordava tutto. E poi, incontrando l’imprenditore X, diceva: “Mi congratulo, ho saputo del sessanta di suo figlio, complimenti”, conquistando il cuore di quelle persone. Interi budget pubblicitari strappati alla Rai. Eppure, quello stesso talento nascondeva un’altra faccia della medaglia: la difficoltà di riconoscere i meriti dei competitor, o i propri passi falsi. Un tratto che Berlusconi avrebbe portato dietro con sé anche in politica, con ogni evidenza. «Come tutti i grandissimi venditori ed affabulatori, si autoconvinceva di tutto ciò che diceva, fino a crederci. Ha strappato alla RAI fior di artisti, ma se la RAI provava a strapparne uno diceva: “Vedete come sono scorretti?”. E nel dirlo era davvero sincero», ricorda ancora Notarangelo.


Il fiuto e le leggerezze

In affari, Berlusconi aveva certo fiuto da vendere. Eppure il successo di certe operazioni e la sua grandeur tracimavano talvolta in una generosità perfino eccessiva, tale da procurare alle sue aziende danni non indifferenti. Come Notarangelo ebbe modo di testimoniare da vicino quando gli fu affidato il compito di gestire i rapporti con le tv europee nelle quali Fininvest aveva una partecipazione. Per Berlusconi, erano semplicemente «le nostre televisioni europee». Ma la realtà era ben diversa. «In Francia, ne La Cinq, noi eravamo in minoranza e comandava Boygues; nella tedesca Telefunf, con la quale tenevo io i rapporti, andava meglio, ma solo perchè, pur possedendo noi solo il 50% delle azioni, pagavamo il 100% delle perdite – ed erano 100 miliardi delle vecchie lire all’anno, non bruscolini. (La cosa, per come me l’hanno raccontata, andò così: un giorno Berlusconi e il proprietario tedesco dell’altro 50% assistettero ad una epica partita del Milan, che stravinse giocando benissimo, e Berlusconi – che in alcuni momenti era davvero generosissimo – disse che le perdite le avrebbe pagate lui per intero). Una filosofia questa del libero e spensierato investimento, tipica della Milano da bere degli anni ’80, solidamente radicata nel Gruppo. «Ricordo di aver chiesto una riunione per valutare l’investimento di sei miliardi di lire negli Studios Roma di Madrid, e il direttore del controllo di gestione disse: “Ma dobbiamo proprio riunirci per sei miliardi di lire?”, come fossero caramelle», rievoca ancora Notarangelo, che chiosa con paradosso: «Per la mia esperienza, se il mito sessantottino della fantasia al potere ha avuto luogo in ambiente corporate, questo è stato tra Milano 2 e Cologno in quegli anni».


Venerazione e timore

I dipendenti e i dirigenti del gruppo, ciò che è certo, temevano moltissimo gli umori di Berlusconi. Come emerge da altri aneddoti. Il primo. Al «Dottore», come lo si chiamava in quegli anni, potevano dare del tu pochissime persone. «Ricordo che il tu glielo dava Fedele Confalonieri. E anche Boldi: si, perchè dagli artisti, dai presentatori, il tu lo accettava. Ma un alto dirigente, appena assunto e del quale non faccio il nome, cominciò con un pericolosissimo “caro Silvio” senza troppo accorgersi che il “caro Silvio” continuava a dargli del lei. Durò meno di sei mesi». E il sottile confine tra l’essere leale collaboratore o yesman Notarangelo, come tutti coloro che lavoravano col Cavaliere, ebbe a toccarlo presto con mano, quando venne «interrogato» di fronte a tutti in una delle leggendarie «riunione del venerdì di Arcore» con i più stretti collaboratori di Fininvest. Tema: il giudizio terzo su un’uscita pubblica del capo la sera precedente, che era stata con ogni evidenza fallimentare.

Il sogno liberale e la realtà dittatoriale

A dare il giudizio più ruvido su Berlusconi, non a caso, è chi con lui lavorò per qualche tempo, e poi partì per altre sfide professionali all’estero. Valerio Lazarov, da capo di Videotime divenuto direttore generale di Telecinco in Spagna. Ai ripetuti inviti avanzati da Notarangelo a tornare ad Arcore, per l’appunto, per la desiderata riunione mensile, Lazarov opponeva costantemente dinieghi con i pretesti più vari. Sin quando il giovane dirigente Fininvest prese di petto la questione e chiese al collega trasferito all’estero il perché di quella resistenza. La risposta lo lasciò impietrito: «Bernardo, a te lo devo dire. Io ho vissuto le tre più feroci dittature del Novecento europeo: quella di Ceausescu, quella di Franco y quella di Silvio Berlusconi. E quindi, ora che ho guadagnato la libertà, non verrò mai ad Arcore a farmi fare il palinsesto da una banda di ragazzi che non sa neanche che in Spagna il prime time inizia alle dieci e mezzo di sera». Corretto o eccessivo quel giudizio, di certo molti condividono l’idea che Berlusconi il «sogno della rivoluzione liberale» non l’abbia mai realizzato, e probabilmente non c’abbia mai neppure provato, né davvero creduto. Ne è convinto, sicuramente, l’ex dirigente Fininvest. «Ho mai votato Berlusconi? No, proprio perché sono liberale, anche se l’indomani della sua vittoria nel 1994 ho sperato che davvero potesse fare il bene dell’Italia – e così, a mio avviso, non è stato. Ecco, non l’ho votato mai perché uno che vuole far tenere la prolusione della sua Università del pensiero liberale a Putin, liberale non è – anche se, per i motivi che ho esposto, si autoconvince di esserlo». Eppure, riconosce in conclusione Notarangelo, Berlusconi nei libri di Storia finirà per entrarci eccome. «Io diffido di coloro che vogliono entrare nella storia. Spesso ci entrano nel modo sbagliato. E lui, il Dottore, è riuscito ad entrarci».

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