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Chi era Soumaila Sacko e perché è diventato il simbolo dei lavoratori sfruttati

20 Dicembre 2018 - 13:48 Giada Ferraglioni
Comincia il processo ad Antonio Pontoriero, il presunto assassino del sindacalista maliano ucciso a colpi di fucile l'estate scorsa. Ecco chi era e come viveva Soumaila

Soumaila Sacko era un bracciante e un sindacalista attivista per i diritti dei lavoratori agricoli. Il 2 giugno scorso viene ucciso a colpi di fucile mentre cerca pezzi di lamiera nell’ex fornace “Tranquilla” di San Calogero. Oggi, 20 dicembre, la corte d’Assise di Catanzaro inizia il processo al presunto assassino, Antonio Pontoriero.

Soumaila viveva nella tendopoli di San Ferdinando, nella piana di Gioia Tauro in Calabria, una baraccopoli che accoglie più di quattrocento braccianti. L’intera piana, ne ospita più di 3.000 in condizioni disumane. Gli incendi non sono rari: nella stessa tendopoli, a gennaio perde la vita Becky Moses, una ragazza di 26 anni proveniente dal Niger. Per evitare altri roghi, i braccianti decidono di evitare la plastica per la costruzione delle “case”.

Non troppo lontano dalla Statale 18, la strada che taglia gli agrumeti e le aree industriali della campagna calabrese, c’è la vecchia fabbrica dismessa di San Calogero, dove una sera Soumaila e due compagni, Madiheri Drame e Madoufoune Fofana, vanno in cerca di materiale non infiammabile.

Durante la ricerca, una Panda bianca si accosta agli uomini e spara quattro colpi di fucile: Madhieri e Madoufoune si salvano, Soumaila morirà qualche ora più in là nell’ospedale di Reggio Calabria. L’assassino, uno dei soci dell’ex fabbrica, fugge via. Viene trovato e incarcerato immediatamente pochi giorni dopo, per concreto pericolo di inquinamento probatorio. A causa delle intimidazioni dei suoi familiari, gli unici testimoni Madhieri e Madoufoune sono costretti a lasciare San Ferdinando e il lavoro di braccianti nella piana.

Due giorni dopo l’omicidio, la tendopoli si mobilita. I braccianti alzano grida di protesta contro le loro condizioni e in solidarietà del loro amico: «Siamo persone, non animali», recitano, «ma ci uccidono come animali». La polizia interviene quasi immediatamente, ma i manifestanti non vogliono saperne di far finta di nulla. «Basta tendopoli, vogliamo delle case», continuano a gridare i lavoratori.

«Da soli non si cambia il mondo»: Soumaila Sacko, simbolo dei braccianti foto 1

Aboubakar Soumahoro, amico e collega di Sacko all’Usb (Unione Sindacale di Base), diventa il portavoce delle rivolte dei migranti che richiedono giustizia per Sacko e per loro stessi. Con lo slogan «Prima gli sfruttati», risveglia le strade periferiche della Calabria e le campagne di tutta italia, fino a guadagnarsi la prima pagina del settimanale L’Espresso, che per la prima volta si schiera apertamente contro il ministro Salvini e le sue idee sull’immigrazione. Assieme ad altri sindacalisti, Soumahoro si fa carico di organizzare una raccolta fondi per riportare la salma a Sambacanou, nella regione di Kayes in Mali.

Prima di partire per Bamako nel 2014, prima di attraversare il deserto per arrivare in Libia e poi in Italia, Soumaila faceva l’agricoltore. A causa del cambiamento climatico, il lavoro della terra africana non era più sufficiente a sostenere sua moglie e sua figlia

«Era un combattente abituato a combattere», dice suo cugino Hamadou Sacko, che vive in Francia. Nonostante gli avesse proposto più volte di raggiungerlo, Soumaila aveva sempre rifiutato: «Vivo in un campo dove ci sono più di 400 persone che non hanno parenti in Europa. Pensi sia normale abbandonarle qui?». Figlio di un sindacalista, Sacko aveva ereditato dal padre l’interesse per le condizioni dei lavoratori. «Agendo individualmente non si risolvono i problemi», aveva detto una volta a suo cugino. «Solo unendo le forze si possono trasformare le cose».

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