Come funziona e quanto costa il sistema di protezione dei pentiti di mafia

Prima di essere ammazzato, Marcello Bruzzese avrebbe cominciato a collaborare come già faceva il fratello, il primo a essere inserito nel programma. 

La legge che protegge collaboratori e testimoni di giustizia è stata modificata più volte, l’ultima con un intervento bipartisan lo scorso febbraio. Il sistema di protezione di collaboratori e testimoni è gestito direttamente da una commissione presso il Viminale, attualmente presieduta da Luigi Gaetti, ex vice presidente della commissione antimafia e ora sottosegretario al ministero dell’Interno in quota Movimento cinque stelle. Nella storia dell’Antimafia, Marcello Bruzzese – ucciso a Pesaro nel tardo pomeriggio del giorno di Natale – è il primo tra le persone inserite nel programma di protezione ad essere finito ammazzato per quella che sembra a tutti gli effetti una vendetta di ‘ndrangheta. Secondo alcune fonti, lui stesso aveva cominciato a parlare con gli inquirenti dopo le rivelazioni fatte dal fratello, Girolamo Biagio Bruzzese, ex braccio destro di Teodoro Crea capo dell’omonima ‘ndrina reggina. Proprio perché è la prima vittima “protetta”, le opposizioni chiedono ora al governo di riferire in aula o in commissione Antimafia.


Quanti sono?

La relazione della Commissione centrale del servizio di protezione di collaboratori e testimoni non è più pubblica, ma viene mandata all’Antimafia, ma potete leggere qui l’ultima resa disponibile, del 2017. Ad Open risulta che i collaboratori di giustizia siano attualmente circa 2000 ai quali vanno sommati 7000 parenti, più un centinaio di famiglie uscite dal programma, ma che ancora hanno qualche forma di tutela (le generalità fittizie, ad esempio). I testimoni di giustizia sono cinquanta, più duecento familiari. La maggior parte dei testimoni, dopo essersi allontanato dal territorio di origine, ha trovato lavoro nella pubblica amministrazione. Nel corso del 2018 hanno deciso di collaborare con la giustizia circa 200 persone, provenienti soprattutto da Camorra e Sacra Corona Unita.


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Pentiti o testimoni?

I criteri del programma di protezione dei collaboratori di giustizia sono fissati da una legge del 1991 (questa) scritta su impulso di Giovanni Falcone, che allora era direttore generale degli affari penali del Ministero della giustizia. Con il tempo, poi, il parlamento ha affinato lo strumento più volte, soprattutto sulla distinzione tra chi si pente dopo aver fatto parte dei clan e chi è vittima o testimone dei fatti e decide di parlare. Le dichiarazioni agli inquirenti dei collaboratori di giustizia, ad esempio, devono avvenire entro 180 giorni dalla dichiarazione di volontà di collaborare. E’ la Dda a segnalare il singolo caso al Servizio centrale di protezione, presso il Dipartimento centrale di pubblica sicurezza. Alcune norme, l’ultima approvata all’unanimità a febbraio 2018, hanno distinto definitivamente i testimoni di giustizia dai pentiti.

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I collaboratori di giustizia sono stipendiati?

Il sistema di protezione è costoso. Lo conferma, ad Open, il sottosegretario Gaetti(in foto): “E’ un argomento su cui lo Stato ha deciso di spendere, senza sprecare, ma garantendo che la protezione esiste per tutto il tempo necessario. Anche per questo vogliamo capire a fondo cosa sia successo a Pesaro”. Il bilancio del Servizio centrale è segreto, ma si parla di più di 100 milioni all’anno, che includono le spese per i pentiti, i testimoni e i loro familiari a rischio: lo Stato si occupa della sussistenza finché necessario e quindi del reinserimento nel mercato del lavoro, in alcuni casi finanziando l’acquisto di attività commerciali o terreni (purché si parli di investimenti che non si spingano oltre le poche decine di migliaia di euro). Resta da affrontare, dice Gaetti, il tema del cambio delle generalità: “Al momento la maggior parte dei protetti ha generalità di copertura ma non ha modificato tutti i documenti davanti allo Stato. Anche prima della tragedia di Pesaro mi stavo occupando di scrivere un decreto ministeriale per semplificare le procedure”.