Spagna e Germania: inizia l’era senza carbone

di OPEN

Madrid investirà 2,13 miliardi di fondi europei per chiudere le sue ultime miniere e sviluppare energie rinnovabili

Dal primo gennaio 2019 la Spagna abbandona il carbone. Lo fa con un piano da 2,13 miliardi di euro, sovvenzionato dall’Unione Europea, che chiuderà tutti gli stabilimenti improduttivi presenti nel Paese. 250 milioni di euro andranno – indirettamente – ai minatori. Nelle regioni di Asturie, Aragona, e di Castiglia e Leòn questi fondi serviranno a riconvertire miniere inutilizzate, pagare pensioni anticipate, e riformare i lavoratori per inserirli nell’industria delle energie rinnovabili.


La fine dal carbone è stata fortemente voluta dal governo socialista Sánchez, che ha fatto della questione ambientale uno dei suoi cavalli di battaglia, nonostante i minatori siano da sempre uno zoccolo duro dei socialisti alle elezioni.Il carbone spagnolo è comunque in una crisi irreversibile:la popolazione di minatori è scesa dai 100.000 degli anni Cinquantaa poco più di 2.000, e il carbone copre meno del 10% del fabbisogno energetico nazionale. I socialisti sono convinti che questa transizione dolce sia un vantaggio per tutti.


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Anche la Germania ha recentemente vissuto la fine di un’era. Sono chiuse le ultime miniere di carbone della Ruhr, la valle del miracolo economico e industriale del dopoguerra. Le cause sono simili a quelle spagnole: i 600.000 minatori degli anni Cinquantasono diventati meno di 5.000, e il carbone tedesco è stato sostituito dal carbone russo, americano e australiano.

A essere chiuse solo le miniere di antracite, il carbon fossile più antico e prezioso. La Germania continuerà a estrarre lignite, meno costosa, ma più inquinante. Il distacco dalla lignite non sembra ancora possibile, considerando che il Paese produce più di un terzo della sua energia bruciando carbone. A febbraio è atteso il rapporto di una commissione energetica governativa, che delineerà le strategie per una transizione totale alle energie rinnovabili. Molti, però, sono convinti che le rinnovabili da sole non siano abbastanza. Solo pochi anni sembrava certo che l’estrazione sarebbe continuata fino al 2040.

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Si potrebbe pensare a un trend europeo, ma non è così.A differenza di Spagna e Germania, Paesi come la Polonia, la Slovacchia e la Repubblica Ceca non sono affatto disposte a chiudere le loro miniere. La Polonia, in particolare, è il più grande produttore di carbone europeo. Il carbone genera l’80% dell’energia elettrica del Paese, e copre il 60% del fabbisogno energetico nazionale. Nonostante 33 su 50 delle città più inquinate d’Europa si trovino in Polonia, lo Statonon ha una vera alternativa all’estrazione del carbone. Il clima passa in secondo piano quando è impossibile sanare problemi più immediati, come la ridistribuzione della forza lavoro e le necessità energetiche.

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E in Italia? Il 90% del carbone arriva via mare, trasportato dauna flotta di circa 60 imbarcazioni italiane. L’unica risorsa che abbiamo sul suolo è in Sardegna, nel bacino del Sulcis Iglesiente, che ci fornisce 1 milione di tonnellate annue di carbone a fronte delle 4,6 che importiamo. Nonostante le 8 centrali a carbone operative in Italia, 6 di proprietà ENEL e 2 di A2A, l’utilizzo del carbone è estremamente basso rispetto alla media europea.

Sarebbe razionale aspettarsi che l’Italia segua strategie simili a quelle spagnole. Carlo Calenda del Partito Democratico, al tempo Ministro dello Sviluppo Economico, haparlato nel 2017 di un piano per uscire dal carbone per il 2025-2030, al costo di 3 miliardi di euro. Un progettotroppo lento per il Movimento 5 Stelle, che nel suo programma energetico aveva previsto l’uscita per il 2020.

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Intervenendo di recente aKatowice, alla Conferenza mondiale sul Clima del dicembre scorso, il ministro dell’AmbienteSergio Costa ha dichiarato che l’Italia lascerà il carbone nel 2025. Non è ancora stata presentata una strategia definitiva sul come l’Italia centrerà questo obiettivo, mail governo starebbe sviluppando un Piano Clima ed Energia proprio a questo proposito.