La fermezza hard di Salvini, quella light di Conte e il silenzio degli impotenti

La disputa sui migranti ai vertici del governo in teoria è molto chiara: il ministro dell’Interno Matteo Salvini dice che la fermezza assoluta ha pagato, e non c’è motivo di fare passi indietro. Quindi nessuna nave avrà il permesso di entrare nei porti italiani con migranti a bordo.


La posizione del premier Conte è molto diversa: anche alla fermezza ci deve essere un limite quando sono in gioco i diritti umani. E aggiunge: se Salvini bloccherà i porti vorrà dire che andrò a prendere in aereo quei migranti che l’Italia accoglierà nella suddivisione delle responsabilità tra i Paesi europei.


Replica Salvini: con la linea della fermezza si sono azzerati gli sbarchi nel corso di un anno, e se si ricomincia a transigere si ritorna all’invasione. Ma è abbastanza evidente che dietro a queste due posizioni così divaricate c’è una comune tentazione: quella di conquistare il bottino pieno del consenso dell’opinione pubblica.

C’è un gioco delle parti? Non necessariamente; ma è evidente che in assenza di voci forti delle opposizioni Salvini sfonda sulla parte intransigente e di destra dell’elettorato, e il Movimento 5 Stelle, col premier per una volta in prima linea, cerca di fare breccia dall’altra parte, rigore assoluto contro accoglienza controllata. Cosi però Lega e M5s continuano a presidiare l’intero palcoscenico politico, confermando la legge per cui in politica i vuoti si riempiono sempre.

Da un lato Forza Italia e Fratelli d’Italia, che hanno di fatto la stessa posizione di Salvini, non sanno come differenziarsi. Dall’altro il Pd non riesce a uscire dall’incantesimo del 4 marzo (neanche quando il governo gli offre assist imperdibili, come quello del decreto fotocopia salva-Carige: ma questo è un altro discorso). Di fatto non c’è stata a tutt’oggi nessuna manifestazione di presenza in vita dell’opposizione, in piazza o altrove, in grado di mostrare all’opinione pubblica un’alternativa forte e credibile.

Le dichiarazioni in ordine sparso sui social o dentro le sale stampa del Parlamento sembrano atti dovuti, il minimo sindacale di impegno dal versante di una minoranza ripiegata su se stessa, nell’attesa di una sentenza della Corte Costituzionale sollecitata da sindaci o regioni, o di una nuova uscita di Mattarella. E non c’è quasi più nessuno che difende le organizzazioni non governative, abbandonate già al tempo di Minniti in nome di una realpolitik di rincorsa a Salvini il cui esito è davanti agli occhi di tutti: una catastrofe storica.