Reddito di cittadinanza, Cerea: «È iniquo, non considera i divari territoriali» – L’intervista

Secondo il professore di Economia e Management, la misura «finisce col trattare allo stesso modo soggetti in condizioni profondamente diverse dunque viola il concetto di equità». E sui navigator: «Al Nord creeranno più disastri che altro»

«Il reddito di cittadinanza è iniquo». Ne è convinto Gianfranco Cerea, professore di Economia e Management all’università di Trento, secondo cui chi ha concepito la misura non ha considerato una questione fondamentale: le differenze territoriali e i divari tra Nord e Sud. Stando al suo ragionamento, il reddito di cittadinanza così come è «finisce col trattare allo stesso modo soggetti in condizioni profondamente diverse per il contesto in cui vivono, dunque vìola il concetto di equità».


«Un trattamento uniforme in tutta Italia, che non tiene conto delle differenze territoriali, comporterà che il numero dei poveri al Centro e al Nord rimarrà tendenzialmente quello che oggi rileva l’Istat», ha detto l’economista a Open. «Al Sud, invece, probabilmente tutti supereranno la soglia della povertà assoluta. Non solo, in alcuni casi supereranno anche la soglia della povertà relativa. Mentre al Nord, paradossalmente, dopo l’operazione il numero dei poveri non cambierà: anche se i destinatari ricevono l’aiuto, rimarranno comunque sotto la soglia di povertà. Il costo della vita è diverso».


Dunque la misura è iniqua? 

«Sì, strutturalmente iniqua perché tratta allo stesso modo soggetti che si trovano in condizioni diverse. Una misura per essere giudicata equa deve rispondere a due criteri: trattare nello stesso modo soggetti che sono nella stessa situazione e trattare in modo diverso soggetti che sono in condizioni diverse. Se io tratto in modo uguale soggetti che sono in condizioni diverse, come nel caso del reddito di cittadinanza, non tengo conto delle specificità e il problema non si supera».

Quale sarebbe potuta essere la soluzione per trattare con le dovute differenze i territori da Nord a Sud?

«L’ideale sarebbe stato affidare il reddito di cittadinanza alle Regioni, ma lasciamo perdere. Questo è un provvedimento troppo iniquo. Io parlo da Trento dove le misure di reddito minimo ci sono degli anni ’60 e dove c’è sempre stato un reddito di garanzia che funzionava molto bene e che adesso verrà soppiantato da una misura che qualitativamente è più scadente».

Secondo lei come è stato concepito?

«È figlio di uno slogan, quello dei 780 €. E poi da lì hanno fatto girare tutto il resto».

​Ha individuato altri tipi di incongruità?

«Sì, c’è tutto il capitolo dell’Isee. Per come è concepito, il reddito di cittadinanza è una misura tendenzialmente generosa per i soggetti singoli ma,  mano a mano che si aggiungono figli, la distanza tra la soglia di povertà e l’intervento del reddito di cittadinanza aumenta. Prendiamo, per esempio, l’integrazione al reddito di 280 € per l’affitto: è lo stesso contributo assegnato a una persona sola e a una famiglia intera. Inoltre, a Milano e a Caltanissetta i costi degli affitti le assicuro che non sono gli stessi. Il reddito di cittadinanza andrebbe dunque affinato, è una misura troppo rozza così come è».

Cosa pensa della figura del navigator?

«Un altro aspetto problematico del reddito di cittadinanza riguarda proprio l’accesso al mercato del lavoro. Ci sono delle realtà come Trento, Bolzano e la Lombardia, dove c’è un sistema organizzato intorno alla Regione e ai governi locali che funziona bene per quanto riguarda l’inserimento nel mondo del lavoro. Qui i navigator creeranno più disastri che altro perché c’è già una macchina che funziona. Stiamo parlando di realtà sane: a Bolzano il tasso di disoccupazione è al 3%, a Trento al 5%, in Lombardia al 5,5%, e c’è un tasso di attività femminile al 62%. Sono mercati del lavoro che funzionano grazie a questi meccanismi di ingresso. Inoltre, coordinare tutte queste persone sarà complicatissimo: cosa succederà se due tutor-navigator insistono sullo stesso posto di lavoro con due aspiranti diversi? Chi sceglierà alla fine?».

I problemi di incongruità del reddito di cittadinanza che rileva si possono applicare anche alle pensioni?

«Sì perché la pensione minima è, allo stesso modo, uguale dappertutto: lei a Milano con 680 euro non vive, mentre a Caltagirone probabilmente sta dignitosamente bene. Quindi serve più attenzione al territorio altrimenti si viola l’equità e si finisce col trattare allo stesso modo soggetti in condizioni profondamente diverse».

Reddito di cittadinanza, Cerea a Open: «È iniquo, non considera i divari territoriali» foto 1

 

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