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Chiusure domenicali, tutto da rifare: «Quella proposta era peggio delle liberalizzazioni»

15 Febbraio 2019 - 06:39 Valerio Berra
Chiusure sì, ma non tutte le domeniche. La proposta di legge del deputato leghista Andrea Dara non convince alcune associazioni di categoria

Il tema è di quelli che toccano l’agenda, dei commercianti e dei consumatori. La proposta di legge sulla chiusura domenicale dei negozi sembra essere tornata al palo, bisogna ricominciare a discuterne con le associazioni di categoria. Il relatore è Andrea Dara, deputato leghista di origine mantovane.

È lui a spiegare a Open come stanno le cose, dopo i titoli apparsi su alcuni giornali che davano già per morta la sua proposta: «Il testo su cui stiamo lavorando è quello depositato il 31 gennaio. Per adesso non è cambiato nulla, ma in commissione Pd e Forza Italia hanno chiesto di riaprire la discussione alle associazioni di categoria».

Una notizia che è stata accolta bene dal Comitato dei lavoratori Domenica No Grazie, uno di quelli sentiti per scrivere la versione definitiva: «Per noi la revisione del testo è una buona notizia. Le liberalizzazioni di Monti erano meglio di quella proposta di legge».

Lega e Movimento 5 Stelle avevano proposto di garantire l’apertura dei negozi per 26 domeniche, più 4 deroghe dedicate ai festivi. Non è ancora chiaro se il governo deciderà di ridurli, facendo un favore alla grande distribuzione, o di aumentarli, accontentando così i lavoratori. I temi sono due: i diritti e i guadagni.

I diritti sono quelli dei lavoratori, soprattutto dei dipendenti, che spesso si trovano in turno la domenica mentre il resto della famiglia è a casa. I guadagni sono quelli che verrebbero a mancare nelle casse di supermercati e piccoli negozi.

Federdistribuzione, contraria alle chiusure domenicali, ha spiegato che «il testo della proposta farà calare i consumi per oltre 4 miliardi di euro, diminuiranno i livelli occupazionali di 30 mila unità e ci saranno meno servizi».

Dai guadagni dipende anche l’occupazione. Secondo Eurostat la domenica lavorano 3,4 milioni di italiani. Se guardiamo all’età invece, a essere sul posto di lavoro la domenica è più di un giovane under 25 su quattro.

A che punto è la proposta di legge sulle chiusure domenicali

«Questo testo non è la Bibbia. Faremo le audizioni, se ci sarà qualche suggerimento per migliorare la legge lo inseriremo». Andrea Dara non è disfattista. Il 31 gennaio il deputato leghista ha depositato un testo arrivato dopo sette proposte e diverse audizioni con le associazioni di categoria.

«Questo tema interessa tutti e soprattutto appassiona tutti. È giusto dare la possibilità a chi lavora in questo settore di avanzare richieste». Tira un sospiro di sollievo il comitato Domenica No Grazie, che aveva criticato il numero di domeniche lavorative.

Lo spiega Bianca Rossi, referente nazionale: «Sono troppe. È un grosso favore alla grande distribuzione. Ci hanno contattato molti commercianti che hanno chiesto aiuto».

Chiusure domenicali, tutto da rifare: «Quella proposta era peggio delle liberalizzazioni» foto 2

Lo scontro fra Luigi Di Maio e Beppe Sala

Le liberalizzazioni sugli orari degli esercizi commerciali sono state introdotte con il decreto Salva Italia del 2011. È uno dei provvedimenti che hanno segnato l’opera del governo tecnico guidato da Mario Monti.

Il tema ha sempre sollevato dibattito, soprattutto su quanto la possibilità di rimanere aperti la domenica aiuti i commercianti e quanto invece li penalizzi. In campagna elettorale la chiusura domenicale era stata una delle bandiere del Movimento 5 Stelle, ribadita spesso da Luigi Di Maio.

Riferendosi a lui, lo scorso novembre, il sindaco di Milano Giuseppe Sala aveva detto: «Se la vogliono fare in provincia di Avellino la facciano, ma a Milano è contro il senso comune».

Il vicepremier aveva risposto via Instagram: «Nessuno vuole chiudere nulla a Milano né da nessun’altra parte, ma chi lavora ha il diritto a non essere più sfruttato. Questo rompe le palle a un sindaco fighetto del Pd? E chi se ne frega!».

A questo punto Sala non era andato troppo per il sottile su Twitter: «Quando il Ministro Di Maio avrà lavorato nella sua vita il 10% di quanto ho fatto io, sarà più titolato a definirmi “fighetto”».

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