Ddl Pillon: cos’è, cosa prevede, testo e news

Affido condiviso, bigenitorialità e scomparsa dell’assegno famigliare. «Rende così difficile separarsi, che i promotori, tanto preoccupati della famiglia tradizionale, forse non si accorgono che stanno rendendo sempre più difficile sposarsi», dice a Open Linda Laura Sabbadini, statistica e già a capo del dipartimento per le Statistiche Sociali e Ambientali dell’Istat

«Marito, padre di 3, catechista, avvocato, già Presidente Forum Famiglie Umbria e membro fondatore del Comitato Family Day». Così si descrive Simone Pillon, senatore della Lega, sul suo profilo Twitter. È lui a dare il nome al discusso disegno di legge 735 presentato il 1° agosto scorso. È in Commissione Giustizia al Senato da settembre, in sede redigente: non ci sarà alcuna discussione in Parlamento ed è la prima volta che accade su temi come questi, che riguardano il diritto di famiglia. È la Commissione che delibera – al momento sono in corso le audizioni – e all’Aula spetterà poi eventualmente solo il voto sul testo.


Cos’è il Ddl Pillon

Affido condiviso, mantenimento diretto e bigenitorialità sono le parole chiave di un provvedimento che «vuole dare attuazione al contratto di governo» della maggioranza che prevede, per il diritto di famiglia, «rilevanti modifiche normative». La soluzione Pillon – sostenuta da Lega e parte dei 5 Stelle – si articola in tre punti: la mediazione obbligatoria, nel caso di figli minorenni, per separazioni e divorzi (Pillon stesso è un mediatore famigliare). Si introduce anche quella che viene definita “bigenitorialità condivisa”: pari divisione del tempo passato con mamma e con papà e pari divisione dei costi di mantenimento.


Le criticità del ddl

Le critiche sono aspre, non solo da chi lavora nei centri anti-violenza e da associazioni più o meno “femministe”, ma anche da parte del mondo cattolico cui Simone Pillon fa riferimento. Contrari: Assuntina Morresi (esponente di spicco del Forum delle associazioni famigliari e presidente del Movimento per la Vita di Perugia); Eugenia Roccella (già sottosegretaria alla Salute del governo Berlusconi IV) o Francesco Marsico (vice direttore della Caritas). Contraria anche una frangia del M5s. «È come se dividesse il bambino in due parti uguali, come se fosse un oggetto. Credo che il nostro dovere sia rivedere in Parlamento la proposta come così è stata formulata: dal mio punto di vista non è assolutamente possibile approvarla», diceva a ottobre il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle Pari Opportunità, Vincenzo Spadafora. Critica anche la vice presidente della Camera M5S Maria Edera Spadoni.

«Tutto da buttare: non c’è un punto che possa essere considerato adeguato», dice a Open Oria Gargano, presidente di BeFree Cooperativa Sociale contro tratta, violenza, discriminazioni. Le avvocate di BeFree, Sabrina Fiaschetti e Carla Quinto, hanno preparato una “nota critica” al ddl in punta di diritto. Stessa opinione per Gian Ettore Gassani, presidente Associazione matrimonialisti italiani. L’attuale sistema, avverte, per separazioni e affidamenti «è una vergogna mondiale». Ma «quello che vuole proporre Pillon è una vergogna ancora più grande». Un ddl «punitivo nei confronti delle donne, che dovrebbero essere libere di separarsi e di non attenersi al ruolo di moglie e madre», dice a Open Linda Laura Sabbadini, statistica ed ex responsabile del dipartimento per le Statistiche Sociali e Ambientali dell’Istat, udita in Commissione il 14 febbraio scorso.

Il ddl «è adultocentrico: non si fa differenza per età, se il bambino è molto piccolo o se ha 16 anni. Costretto a vivere in due abitazioni magari lontanissime, con disagi per una vita anche sociale serena all’interno di un’abitazione principale – come hanno tentato invece di tutelare per anni tutte le sentenze».

ANSA/GIUSEPPE LAMI | Un momento della contestazione di esponenti dell’associazione ”Non una di meno” all’esterno della Sala Consiliare del I municipio di Roma durante l’incontro con il senatore Simone Pillon, Roma 31 gennaio 2019.

Il ddl Pillon «introduce importanti elementi positivi avvicinandoci ai modelli di diritto di famiglia dei Paesi più evoluti», dice invece Vittorio Vezzetti, pediatra, autore di Nel nome dei figli e fondatore dell’associazione “Figli per sempre”. Guai a dire che il suo è il punto di vista dei padri separati: «Se lei dice questo è un problema suo. È strumentale. È la letteratura scientifica a dire che una buona frequentazione del padre, almeno il doppio dell’attuale, è un elemento di molto positivo».

Niente più assegno di mantenimento

Oggi una separazione ha un costo variabile, spiega l’avvocato Gassani. «Tutto sommato riguarda nel 90% dei casi persone con stipendi bassi, e i costi sono contenuti». La separazione consensuale di due persone «che non hanno particolari proprietà va dai mille ai 2 mila euro». Una giudiziale – primo e secondo grado – 10mila. «Se ci sono miliardi in mezzo, le parcelle sono molto più alte: tutto dipende dal tipo di cliente e dalla posta in gioco». Ma il ddl Pillon «rende così difficile separarsi che i promotori, preoccupati della famiglia tradizionale, forse non si stanno accorgendo che stanno disincentivando i matrimoni fra i giovani», chiosa Linda Laura Sabbadini. Le donne separate, dice Eurostat, «stanno peggio degli uomini separati». Il 43% «è in povertà o esclusione sociale, tra gli uomini questa percentuale è più bassa di 11 punti». Non che gli uomini stiano bene: «La separazione porta un aumento delle difficoltà per tutti».

ANSA/FABIO CAMPANA | Linda Laura Sabbadini, Roma, 10 dicembre 2013.

Le donne partono da una situazione peggiore: «Da una simulazione che ho fatto, se oggi togliessimo l’assegno di mantenimento alle donne separate che vivono con i figli, la loro povertà assoluta raddoppierebbe, raggiungendo il 30%. E il reddito delle madri diventerebbe uguale alla metà di quello dei padri. Bisogna risolvere il problema dei 2 mila padri separati homeless e le 500 madri, ma non certo impoverendo ulteriormente le donne». «C’è un attacco al matrimonio laico e all’autodeterminazione delle persone di stare insieme», dice Oria Gargano. «Chi è il proprietario della casa mantiene la casa», aggiunge Gassani. «Immaginate al sud, con le donne in condizioni economiche svantaggiate che perdono casa, soldi e figli in automatico. Non avrebbero la forza di dire basta a un rapporto che non funziona per paura di perdere i figli e di andare in mezzo alla strada».

ANSA/ALESSANDRO DI MEO | Da sinistra Simone Pillon, il presidente del World Congress of Families (WCF) Brian Brown e Massimo Gandolfini, portavoce del Comitato Difendiamo i Nostri Figli, dopo l’incontro con il ministro dell’Interno Matteo Salvini al Viminale, Roma, 4 ottobre 2018.

«Chi lega la fattibilità dell’affido materialmente condiviso a fattori economici sbaglia di grosso», dice invece Vezzetti. «In Svezia è diffusissimo, in paesi più ricchi come Svizzera o Lussemburgo no. È diffusissimo nel Nord Est della Spagna che ha tassi di disoccupazione, anche femminile, maggiori di quelli italiani. E in Italia da un po’ di tempo c’è a Brindisi, grazie alla presidente del Tribunale, mentre nella ben più ricca Bolzano no». Il ddl, sostiene il pediatra, «non tocca i rapporti fra i partner. Se un genitore non è abbiente alla fine il mantenimento ricadrà sempre sul genitore economicamente più forte. Ma sarà conservato a differenza di oggi il legame genitoriale».

Mediazione obbligatoria

«I genitori di prole minorenne che vogliano separarsi devono, a pena di improcedibilità, iniziare un percorso di mediazione familiare», si legge nel ddl. Una mediazione «che – come abbiamo sentito nelle audizioni, sarà a pagamento: almeno un migliaio di euro a testa», ricorda Oria Gargano. Una «spesa ulteriore anche se la coppia si sta separando d’amore e d’accordo». La mediazione «è una delle più belle risorse che il mondo occidentale abbia inventato», dice Gian Ettore Gassani. «È sull’obbligatorietà che non mi trova d’accordo. È poi importante chiarire i termini e il costo, e stabilire una mediazione famigliare a spese dello Stato».

L’obbligatorietà «esiste in molti ordinamenti più ricchi di esperienza del nostro», replica Vezzetti. Nel ddl Pillon «mi dicono che questo punto verrà meglio specificato nel testo unico – forse, come pare possibile, addirittura insieme a un gratuito patrocinio per chi, avendone i requisiti economici, volesse seguire tutto il percorso. Non si può neanche lontanamente paragonare il costo di un percorso di mediazione a quello dell’alternativa: la causa giudiziale». E c’è il capitolo, enorme, delle separazioni dove ci sono situazioni di violenza. La figura del mediatore «è specificatamente istituita per impedire o risolvere i casi di conflittualità che possono produrre forme di violenza endofamiliare», dice Vittorio Vezzetti. «Non per comporre i casi di violenza ma per prevenirla. L’affido materialmente condiviso è escluso in caso di violenza». Ma la violenza è sommersa, avverte Linda Laura Sabbadini.

«Secondo l’Istat il 37% delle donne separate ha subito una violenza da parte del partner: più di una su 3». Anche se «si mettesse un emendamento che dice la mediazione obbligatoria non si applica a donne che hanno subito violenza non servirebbe a nulla: l’88% non denuncia e non lo dice neanche ai giudici». Sia Gargano che Sabbadini ricordano come la convenzione di Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne ratificata dall’Italia nel 2013 «vieta i metodi alternativi di risoluzione dei conflitti, tra cui mediazione e conciliazione, per tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione».

L’alienazione parentale

Sul ddl si allunga anche l’ombra della sindrome da alienazione genitoriale o sindrome da alienazione parentale (PAS, Parental Alienation Syndrome): concetto controverso, introdotto negli Stati Uniti negli anni ’80 dallo psichiatra forense Richard Gardner. Un meccanismo per cui i minori coinvolti in separazioni conflittuali mostrano un rifiuto nei confronti di uno dei genitori, in genere il padre, per effetto dell’azione “manipolatoria” del “genitore alienante”, in genere la madre. «Una teoria inventata da un personaggio ambiguo e senza alcuna base scientifica», tuona Oria Gargano da BeeFree. «Dall’esperienza di tutti i giorni dei centri sappiamo che nelle separazioni civili le donne apprezzano la vicinanza ai figli degli ex, nel processo delicato e complicato che è crescerli».

Ma nel caso di un bambino vittima di violenza assistita – e sappiamo dai dati che nel 64% dei casi di violenza i bambini, purtroppo, assistono – una reazione di rifiuto può essere normale: ha visto picchiare la madre. «Purtroppo però il ddl afferma che è necessario punire la madre anche se non ci sono prove, perché la si ritiene responsabile di aver aizzato il bambino contro il padre. Questo è un vero orrore», aggiunge Linda Laura Sabbadini. «Li vediamo, nei centri, quei bimbi, quando hanno un incontro libero o protetto col padre», dice Oria Gargano. «Si svegliano con tachicardia e palpitazioni: stanno male. Se un ragazzino se la fa addosso perché deve vedere il padre, ci sono dei problemi seri. Tutto il resto è manipolatorio».

«Non leggo la parola Pas nel ddl né nel contratto di governo», chiosa Vittorio Vezzetti. «È l’aspetto sindromico a non essere riconosciuto, non l’esistenza del fenomeno». Il pediatria si appella all’esperienza australiana, dove «la childhood adversity è stata ridotta dalla legge sull’affido materialmente condiviso. In Svezia le coppie che entrano in Tribunale per una decisione giudiziale sull’affidamento dei figli sono scese al 2% e percentuale di poco superiore troviamo in Danimarca. Questa è l’Italia che io e il senatore Pillon sogniamo per le famiglie in via di separazione e i loro figli».

In copertina ANSA/CLAUDIO PERI