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Naufragio di Lampedusa: i parenti delle vittime chiedono giustizia: «I soccorsi arrivarono in ritardo» – Video

15 Aprile 2019 - 19:24 Angela Gennaro
È conosciuta come la «strage dei bambini» - o la «strage dei dottori»: 268 morti e tra loro 60 bambini - annegati l'11 ottobre del 2013 a sud dell'isola di Lampedusa. Ora i famigliari e i superstiti sono a Roma e chiedono risposte alla giustizia italiana

In quel naufragio hanno perso figli e figlie, mogli, parenti di ogni grado. Ora sono a Roma, e a Roma e alla giustizia italiana chiedono risposte. Sono i protagonisti – loro malgrado – di quella che è conosciuta come la «strage dei bambini» – o la «strage dei dottori»: 268 morti e tra loro 60 bambini -annegati l’11 ottobre del 2013 a sud dell’isola di Lampedusa. Dopo aver inviato, invano, una serie di richieste di aiuto dal peschereccio in difficoltà – secondo le ricostruzioni era stato colpito tre volte dai libici –alle autorità italiane.

«In quel momento abbiamo pensato che fosse una lezione. Affinché imparassimo che no, in Europa non ci dobbiamo venire», racconta Wahid oggi, 15 aprile 2019, nel corso di una conferenza stampa alla sede della Stampa Estera a Roma. Era un cardiochirurgo: prima ad Aleppo, poi in Libia. Ora sta riprovando a fare il suo lavoro in Svizzera, dove è rifugiato insieme alla moglie. Nel naufragio ha perso quattro figlie: di due, cinque, sette e dieci anni.

Alcune delle famiglie delle vittime di quel naufragio avvenuto a 50 miglia a sud di Lampedusa – e che oggi vivono in Norvegia, Svizzera, Svezia – sono infatti nella Capitale: mercoledì vedranno Papa Francesco all’udienza generale in Vaticano. E il prossimo 10 giugno ci sarà l’udienza preliminare durante la quale la giudice Bernadette Nicotra deciderà se rinviare a giudizio Luca Licciardi e Leopoldo Manna, «il primo imputato per omicidio colposo plurimo ex art. 589 (1° e 3° comma) c.p.e per rifiuto di atti d’ufficio ex art. 328 comma 1 c.p., il secondo per omicidio colposo plurimo».

L’udienza del 10 giugno

Luca Licciardi era, ai tempi del naufragio -spiegano dalla Cild, Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili -«capo sezione delle operazioni correnti della sala operativa Cincnav, il Comando in Capo della squadra navale». Leopoldo Manna, invece, era «capo del 3° ufficio della centrale operativa del comando generale delle Capitanerie di Porto, indicato in base alla Convenzione di Amburgo sulla Sar (Search and Rescue, Ricerca e soccorso) come l’Italian Maritime Rescue and Coordination Center».

La procura di Roma ha chiesto l’archiviazione. Le famiglie non ci stanno. «Noi ci aspettiamo il rinvio a giudizio», spiega a Open uno degli avvocati dei famigliari, Arturo Salerni. «In caso contrario, comunque sarebbe per noi una violazione della Convenzione europea dei diritti umani su cui è competente Strasburgo». E lì si ricorrerebbe, dunque.

A Licciardi e Manna, spiegano ancora dalla Cild, «si contestano condotte che avrebbero portato al fatale ritardo nel soccorso dei profughi. In particolare, dal Cincnav dal I.M.R.C.C. sarebbe dovuto partire con più tempestività l’ordine di immediato intervento alla nave della Marina militare Libra, che si trovava, già quattro ore prima del naufragio del peschereccio, a sole 27 miglia marine dal peschereccio in difficoltà. E che sarebbe potuta intervenire prestando un soccorso che avrebbe potuto salvare molte vite».

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