Ciro, Noemi e le altre vittime innocenti della Camorra: «In 30 anni non è mai cambiato niente» – Il video

È il 1989 quando un commando della camorra spara all’impazzata davanti al bar Sayonara a Ponticelli, periferia est della città. Le vittime sono sei: quattro di loro, con questa faida della criminalità organizzata, non c’entrano nulla. Altro che esercito: a Napoli «ci vuole prevenzione»

No, le vittime innocenti come Noemi, 4 anni e i polmoni perforati da una pallottola diretta probabilmente a un pregiudicato, non sono una novità a Napoli. E no, inutile accapigliarsi: le responsabilità sono distribuite in almeno tre decenni di storia e di istituzioni che non sanno dare una risposta. Perché qui a Napoli non cambia nulla da tanto, troppo tempo. È il 1989 quando un commando della camorra spara all’impazzata davanti al bar Sayonara a Ponticelli, periferia est della città. Le vittime sono sei: quattro di loro, con questa faida della criminalità organizzata, non c’entrano nulla.


È il 3 maggio del 2019, 30 anni dopo, quando la piccola Noemi, quattro anni e tutta la vita davanti, finisce in mezzo a una sparatoria in pieno giorno a pochi metri dalla stazione di Napoli. La madre ne esce illesa, la nonna solo lievemente ferita. È lei che paga il prezzo più alto. L’obiettivo dei due killer è presumibilmente Salvatore Nurcaro, 32 anni, pregiudicato, ora ricoverato in gravi condizioni. Noemi, che ha quattro anni e non c’entra nulla, è la vittima collaterale di quella che sembra essere ancora una volta una guerra tra clan: i Mazzarella e i Rinaldi. 


La camorra

Clan che cambiano – causa arresti e morti – ma che da decenni possono fare quello che hanno fatto a Noemi. «Storie di morti ammazzati per errore», spiega a Open Manuela Galletta, giornalista di giudiziaria da sempre e oggi alla direzione di Giustizia News24. A Open Manuela racconta i tanti, troppi episodi di morti e feriti innocenti. Di vittime di serie a e di serie b. Di gente finita in mezzo a queste faide ma “chissà che aveva fatto”. Quando in realtà la colpa è solo essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Perché nati nel quartiere sbagliato.

Come Ciro Colonna, 19 anni: si trovava in un circolo durante l’agguato in cui viene ucciso Raffaele Cepparulo, considerato il leader dei ‘barbudos’ e appartenente al clan degli Esposito-Genidoni. Ciro venne raggiunto dai proiettili, secondo le ricostruzioni si era piegato per raccogliere qualcosa da terra. È il 2016 quando il diciannovenne muore. Non secoli fa, ma nemmeno tre anni fa. 

Ciro è solo uno dei tanti nomi, spesso dimenticati dalle cronache e difficilmente riconosciuti dai media come vittime innocenti, di una mattanza che di morti e feriti ne fa tanti, a Napoli. Anche in pieno giorno. «Non è che magistratura e forze dell’ordine non ci sono, anzi», spiega ancora Manuela. Il numero di arresti, in città, è importante. «Il lavoro è fondamentale. Ma è un lavoro a posteriori, visto che possiamo escludere che si abbia il dono della preveggenza». 

E l’esercito inviato dal governo? «Si vede, si vede. Ma la storia ci insegna che non serve», dice la giornalista. Febbraio 1998, carcere di Poggio Reale. Francesco Mazzarella, padre del boss Vincenzo, detenuto, è fuori dal carcere ad aspettare che il figlio venga scarcerato: «Un commando entra in azione e lo ammazza», racconta Galletta. «I militari non hanno neanche il tempo di muoversi». E la camorra «non si fa scrupoli». Neanche della camionetta dell’esercito davanti al carcere. 

Ci vuole prevenzione, e azione culturale, dice Manuela Galletta. «Magari l’esercito serve anche a dare una effettiva percezione di sicurezza». Ma il problema si risolve davvero in un altro modo. E ci vogliono decenni. «Ma qualcuno dovrà pur cominciare»

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