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Depositata la sentenza di assoluzione di Virginia Raggi: «Non aveva motivo di mentire»

08 Maggio 2019 - 19:30 Sara Menafra
Il dispositivo di più di 300 pagine contiene anche una pesante accusa contro la procura di Roma, che avrebbe ipotizzato all'ultimo il movente del sindaco accusato di falso

È una sentenza che non lascia alcun margine di dubbio quella depositata oggi con cui il giudice Roberto Rattazzi motiva la decisione di assolvere il sindaco di Roma, Virginia Raggi, dall'accusa di falso in relazione alla nomina del fratello del suo ex braccio destro, Raffaele Marra a un compito più elevato e meglio remunerato.

La decisione, annunciata il 10 novembre 2018, riguarda fatti svolti tra l'ottobre e il dicembre del 2016, prima che Marra venisse arrestato per corruzione e quando si era già spostato a capo dell'ufficio Personale.

Depositata la sentenza di assoluzione di Virginia Raggi: «Non aveva motivo di mentire» foto 1

Ansa |Virginia Raggi

Secondo l'accusa, che aveva chiesto per il sindaco dieci mesi di reclusione, Marra avrebbe fatto di tutto – è a processo per abuso d'ufficio – per favorire il fratello Renato e metterlo a capo del Dipartimento Turismo. E il sindaco, sebbene non complice del reato di abuso, avrebbe mentito dichiarando all'Anticorruzione comunale, che il capo del Personale non si era occupato di quella nomina perché ogni decisione era stata presa dal sindaco.

Non voleva mentire

La sentenza, sul punto, non potrebbe essere più esplicita:

Appare certo che l'imputata non avesse alcun interesse a tutelare né la persona né la figura di Marra Raffaele e che non avesse un interesse proprio a dichiarare il falso, dato che il Marra in effetti aveva partecipato formalmente ed, entro certi limiti, anche sostanzialmente alla nomina del fratello Renato.

Insomma, dice il giudice, Raggi non aveva interesse a mentire all'Autorità anticorruzione che le chiese spiegazioni per la nomina, perché i rapporti con Raffaele Marra, a dicembre 2016, si erano già incrinati.

E perché il regolamento dei Cinque Stelle già prevedeva che davanti alla semplice iscrizione nel registro degli indagati il sindaco dovesse limitarsi a comunicarlo ai dirigenti del partito che avrebbero valutato il caso.

La critica ai pm

Qui, il giudice riserva una discreta "mazzata" alla procura di Roma, sostenendo addirittura che gli inquirenti Francesco Dall'Olio e Paolo Ielo (l'aggiunto che ha anche svolto la requisitoria) abbiano valutato male e persino all'ultimo il movente di Raggi, quando l'hanno accusata di falso:

L'assenza di un fine illecito per il reato contestato alla Raggi è stato un limite per l'ipotesi accusatoria che, non potendo sostenere che il falso era finalizzato ad agevolare l'abuso d'ufficio di Marra, ha cercato altrove il movente. Dapprima nel rapporto di amicizia con quest'ultimo e in un secondo momento, in sede di requisitoria, quasi improvvisando addirittura, nello scopo di evitare di essere indagata come complice del Marra e di essere quindi costretta a dare le dimissioni dal Movimento 5 Stelle e, in ultima analisi, dalla carica di sindaco di Roma.

Il giudice crede anche alla versione dei fatti del sindaco quando spiega che nel dire che Marra non ha mai «partecipato al procedimento delle nomine dei dirigenti» aveva fatto una valutazione giuridica e non amministrativa. La frase è scorretta, scrive il giudice, ma non per questo si può dimostrare che il sindaco volesse dire il falso:

Il contrasto fra la descrizione dell'attività svolta in concreto da Marra Raffaele nel procedimento di interpello e la sua definizione come non di natura istruttoria appare dunque stridente .in quanto la prima smaltisce la seconda.

Nel descrivere il ruolo che nel concreto Marra Raffaele svolse nel procedimento di nome del fratello Marra Renato, il sindaco Raggi rispose secondo quelle che erano le sue conoscenze.

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