Ma così il voto a 16 anni rischia di essere solo un contentino, senza le garanzie che contano

di OPEN

Tutto il dibattito scatenato sul diritto di voto per gli under 18 ha sempre più l’aspetto di un tentativo goffo della politica di accontentare i ragazzi, che chiedono anche altro

Vista l’imponente catena di manifestazioni di venerdì scorso, d’improvviso la politica scopre unanime la ricompensa: diamo il diritto di voto anche ai sedicenni e diciassettenni. Bene, benissimo. Tanto per i rapporti tra le varie forze non cambierà granché, valendo quelle due classi di età un cinquantesimo del corpo elettorale. Così un sedicenne, come i suoi fratelli maggiori, potrà votare.


Ma in compenso continuerà a non imparare a scuola la gran parte delle cose che gli serviranno nella vita lavorativa, sempre più incentrata in prospettiva futura sulla nuova cultura digitale. Non avrà nessuna garanzia sul fatto che il suo percorso post universitario lo porti a un lavoro, e se per scelta o necessità non farà l’università non avrà comunque nessuna certezza di trovare un’occupazione, almeno temporanea. Nell’un caso come nell’altro nessun incentivo lo tratterrà dal cercare fortuna all’estero, anzi.


Se resterà in Italia e aspirerà a un lavoro purchessia avrà però chiara una cosa: che alla fine non avrà una pensione, a differenza dei suoi genitori e dei suoi nonni, vezzeggiati dalla politica attraverso una serie interminabile di attenzioni, culminata nella legge su “quota 100”, un provvedimento Robin Hood, che ruba al futuro per donare al presente. Già, perché la politica, da decenni a questa parte, ha abolito il concetto di futuro, concentrandosi sulla tutela del presente: chi già lavora, chi sta per smettere, chi ha lavorato.

Sono la stragrande maggioranza degli elettori, e si conquista e mantiene il potere solo se si dà l’idea che ogni sforzo è dedicato a loro. E questo le forze politiche fanno. E i giovani? Ecco la nuova mancetta, per carità meritata, ma utile a poco. Dategli il voto, così si distraggono un po’.