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Ecuador in fiamme, il presidente Moreno tenta (tardi) il dialogo. Le incognite dopo i morti in piazza e gli arresti politici

15 Ottobre 2019 - 21:32 Felice Florio
Il presidente Moreno ha revocato il provvedimento che toglieva i sussidi al carburante e le proteste si stanno placando. Ma, sul cammino per il ritorno della normalità, ci sono morti che chiedono giustizia, arresti politici e intere città da ricostruire

Una protesta di dimensioni gigantesche passata, purtroppo, in secondo piano sui media italiani. Fino a quando, domenica 13 ottobre, il presidente dell’Ecuador Lenín Moreno ha trovato un accordo con una parte dei manifestanti. Ma è dal 3 ottobre che il Paese è attraversato da un’ondata di proteste, represse spesso con la forza: secondo i quotidiani internazionali, sono almeno sette i morti. L’associazione Defonsoría del Pueblo parla di 8 vittime, 1.340 feriti e 1.192 persone arrestate. Il governo ribassa la cifra a due vittime.

https://www.facebook.com/AleinadAllacs/videos/10157295051894718/

Nel video qui sopra, diventato virale, l’appello di Aleina è di diffondere informazioni sul numero di morti reale. Lei parla di centinaia di vittime, Open non è riuscito a verificare tale cifra, ma sui social girano immagini di proiettili sparati ad altezza uomo e un uso della forza spropositato da parte dei militari contro i civili. Tralasciando i documenti multimediali, che non mostriamo per non ledere la sensibilità di qualcuno, resta la gravità della situazione: nonostante il passo indietro di Moreno sulle misure di austerità che hanno fatto deflagrare la protesta, la società civile e la politica ecuadoriana è in uno stato di profonda crisi.

Cosa c’è dietro la protesta

Le manifestazioni sono iniziate il 3 ottobre, dopo che il governo ha emanato una serie di provvedimenti di austerità, chiamati dai locali “paquetazo economico”: l’ha fatto in seguito a un accordo con il Fondo monetario internazionale, in cambio di un credito di oltre 4,2 miliardi di dollari. Il prestito del Fmi è vincolata alla riduzione del deficit attraverso misure di prelievo fiscale e di contenimento della spesa pubblica. Tra i provvedimenti, un tassa speciale per le aziende che fatturano più di 10 milioni di dollari all’anno. Una riduzione del 20% del salario dei contratti a tempo determinato nel settore pubblico e la devoluzione di una giornata lavorativa all’erario. Ma la miccia delle proteste di massa è stata l’eliminazione dei sussidi per il carburante.

Gli effetti della misura

Non appena il provvedimento è stato emanato, il prezzo medio di un gallone di benzina è salito da 1,85 dollari a 2,30. Il gallone di diesel è passato da 1,08 dollari a 2,27: un aumento di circa il 120%. I primi a scendere in piazza contro il governo, il 3 ottobre, sono stati i membri del settore dei trasporti. Li hanno seguiti gli studenti universitari e la popolazione indigena del Paese, diventati poi i veri leader della rivolta. Da un lato della barricata, i manifestanti hanno bloccato le strade, distrutto negozi e, di fatto, paralizzato intere città. Dall’altro lato, la repressione è stata durissima.

https://www.instagram.com/p/B3euzQ2Amu2/

La foto simbolo delle proteste. Una donna indigena della provincia di Cotopaxi arrivata nel centro storico di Quito per manifestare. Il fotografo David Diaz Arcos, dopo essere stato colpito da una manganellata, l’ha vista immobile tra le bombe di gas lacrimogeno e l’ha fotografata prima che scomparisse nella nube. La situazione è diventata così allarmante che Moreno ha ordinato il trasferimento della sede del governo dalla capitale alla città di Guayaquill. Ha quindi proclamato lo stato di emergenza di 60 giorni che ha permesso il dispiegamento delle forze armate ecuadoriane, l’interdizione da alcune zone delle città e l’istituzione di un coprifuoco notturno in tutta Quito.

L’asilo politico per l’opposizione

Tra i poteri conferiti al governo dallo stato di emergenza, c’è anche quello di applicare la censura ai mezzi di informazione. Moreno ha accusato l’opposizione di voler destabilizzare il Paese. Il suo principale nemico è l’ex presidente Rafael Correa, il quale ha usato i suoi canali social per diffondere immagini delle violenze contro la popolazione. La risposta di Moreno è stata dichiarare che dietro queste manifestazioni c’è una strategia per destabilizzare l’area ordita dal presidente venezuelano Nicolas Maduro, con la collaborazione di Correa. Intanto sette politici dell’opposizione ecuadoriana si sono rifugiati nell’ambasciata messicana a Quito chiedendo asilo perché si sentono minacciati.

https://www.facebook.com/paolapabonrc/videos/1279257455593045/

Nel video, girato in presa diretta, si assiste alla cattura della governatrice di Pichincha, Paola Pabón. La procura ha disposto un allontanamento forzoso dalla sua casa per «fini investigativi», di fatto la politica dell’opposizione è stata presa in custodia senza specifiche accuse. «Questo è un attacco ai diritti umani – ha dichiarato Pabón -. Questa è persecuzione politica. Oggi sono entrati nella mia casa all’alba buttando giù la porta mentre dormivo. E mi hanno arrestato senza alcuna prova. Non è più una democrazia». La Commissione interamericana dei diritti umani ha dichiarato: «Abbiamo registrato situazioni di violenza e repressione allarmanti».

L’apparente passo indietro di Moreno

In questa situazione esplosiva, il presidente ha convocato una riunione con i leader della manifestazione domenica 13 ottobre. La comunità indigena ha accettato di sedersi a un tavolo per fermare le violenze. Dopo l’incontro, Moreno ha annunciato in diretta televisiva nazionale il ritiro dell’emendamento che aboliva i sussidi per il carburante, attivo in Ecuador dagli anni ’70. Il provvedimento revocato è il numero 883 e lo aveva approvato lo stesso Moreno scrivendo: «Procederemo a elaborare una nuova misura che assicuri una politica di sussidi per coloro che li necessitano. Nessuno perde quando vince la pace!».

Bisognerà attendere le prossime mosse del governo, sia in materia di ricostruzione della pace sociale, rilasciando i detenuti politici, sia in materia economica, per stabilizzare le finanze del Paese senza intaccare i diritti di un popolo che già soffre di un’annosa crisi. Restano, però, impresse le immagini di 25mila indigeni giunti a Quito da tutto l’Ecuador: sono riusciti a prendere possesso dell’intera capitale, accampandosi nei giardini e nelle piazze. Sono riusciti addirittura a irrompere nel ministero delle Finanze, bruciando l’archivio del fisco. E devono essere ancora estinti tutti i focolai di protesta che, in Ecuador, hanno dimostrato di poter raggiungere la forza di un incendio.

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