L’Italia è un Paese intollerante? Tra codici sportivi e social network, i dati del fenomeno

La co-fondatrice di Vox diritti ha parlato a Open dell’escalation di odio degli ultimi anni

Appena due giorni dopo la divisiva approvazione al Senato della Commissione promossa dalla senatrice Liliana Segre, sulle prime pagine dei giornali sono comparsi alcuni fatti di cronaca che hanno riassunto l’urgenza di un maggior monitoraggio dell’istigazione all’odio.


Gli insulti di alcuni tifosi dell’Hellas Verona al giocatore del Brescia Mario Balotelli durante la partita di domenica 3 novembre prima, le successive dichiarazioni razziste di un esponente della curva sud, Luca Castellini (che hanno provocato la sua sospensione del gradimento fino al 2030) poi. Il tutto condito dalla notizia dell’insulto razzista di una mamma a un bambino di 10 anni dagli spalti di una partita tra Pulcini in Brianza.


A giugno di quest’anno, l’osservatorio italiano Vox Diritti ha pubblicato il quarto rapporto sull’intolleranza, dal titolo La Mappa dell’Intolleranza 4.0. Lo studio ha messo nero su bianco alcune evidenze del clima che si respira nel Paese nell’ultimo periodo, e che dimostra come le cose stiano realmente prendendo una piega scura. Tra le questioni affrontate nel rapporto, c’è l’impatto che il linguaggio e le narrative della politica hanno avuto sulla diffusione e la viralizzazione dei discorsi di odio.

Silvia Brena, co-fondatrice di Vox e Ceo di Network Comunicazione, ha spiegato a Open che gli stadi e i social network possono essere degli incubatori di odio. Specialmente dal punto di vista delle società sportive e dei criteri di espulsione o sanzionamento, molti comportamenti sembrano essere ampiamente tollerati.

Sarebbe sbagliato, comunque, attribuire allo stadio in sé un luogo fertile per il razzismo. «Non esistono reali luoghi del razzismo», ha spiegato Brena. «Possiamo pensare piuttosto che ci siano dei target particolarmente sensibili, frustrati e arrabbiati che si sfogano su quelli che abbiamo individuato come migranti, islamici, ebrei, donne e omosessuali».

Stadi e legge Mancino

A proposito dei dati sugli episodi di intolleranza negli stadi, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha parlato di 18 denunce per violazione della legge Mancino dall’inizio della stagione calcistica. Durante la sua interrogazione alla Camera, ha sottolineato come lo stesso Castellino, esponente oltre che degli ultrà del Verona, anche del movimento di estrema destra Forza Nuova, «è stato deferito all’autorità giudiziaria per la violazione della legge Mancino» ed è stato «destinatario di provvedimenti interdittivi da parte della stessa società di calcio».

«Durante l’attuale stagione sportiva si sono già verificati 15 episodi. Gli sviluppi investigativi hanno permesso di deferire all’autorità giudiziaria 18 persone». Lo ha reso noto la ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, rispondendo in question time alla Camera a una interrogazione del Pd sugli episodi di razzismo negli stadi, ultimo quello di cui è rimasto vittima domenica a Verona Mario Balotelli.

«A proposito degli stadi, abbiamo cercato anche di identificare cosa è successo in relazione ai tweet negativi», ha detto Brena.«In concomitanza con una partita della Lazio dello scorso anno, in cui si erano verificati episodi di intolleranza come i volantini su Anna Frank, abbiamo notato che su Twitter si era creata come una camera dell’eco».

Le casse di risonanza dei discorsi d’odio: i social network

«Ogni messaggio polarizzato al negativo – che, come noto, viralizza di più di uno positivo – entra in cosiddette “camere dell’eco” che fanno da casse di risonanza all’hate speech», ha spiegato ancora Brena. «Per quanto non si sappia bene quale sia il rapporto causa-effetto tra discorsi d’odio e crimini d’odio, è innegabile che siano in relazione».

E a proposito di discorsi d’odio, la mozione per la Commissione Segre è stata presentata proprio in questo senso. Come si legge nel testo, il suo proposito è quello di arginare l’hate speech, inteso come «forme di espressione che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo o più in generale l’intolleranza, ma anche i nazionalismi e gli etnocentrismi, gli abusi e le molestie, gli epiteti, i pregiudizi, gli stereotipi e le ingiurie che stigmatizzano e insultano».

Secondo Brena, la più grande camera d’eco dei nostri tempi per l’hate speech sono, appunto, i social network. «Sui social viene sdoganata quella che era una censura sociale», dice, insistendo sul fatto che molti dei picchi d’odio si verificano in concomitanza con alcune uscite pubbliche dei rappresentanti delle istituzioni o di alcuni eventi specifici.

Un esempio messo in luce dal rapporto è illustrato nel grafico seguente: picchi di tweet violenti si sono verificati, ad esempio, in occasione delle dichiarazioni dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini ad aprile in merito allo sbarco della Sea Eye. O quando lo stesso leader della Lega aveva preso posizione a maggio contro l’incontro del Papa in Vaticano con 500 persone di etnia rom.

«Il problema reale è che questi meccanismi vengono tollerati e difficilmente si riescono a regolamentare», ha conculso Brena. «La cosa fondamentale è trovare un modo per mettere un freno al rilascio e alla viralizzazione dell’odio online».

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