Pensioni, l’Ocse bacchetta l’Italia. Quota 100 nel mirino: «Aumentare l’età del ritiro dal lavoro»

Se l’Italia non aumenta l’età pensionabile e con un mercato del lavoro ancora appesantito da contratti part-time e temporanei, rischia di condannare le prossime generazioni a pensioni sempre più povere

Nel sistema pensionistico italiano la priorità dovrebbe essere «aumentare l’età effettiva di ritiro dal lavoro» dato che al momento è a 62 anni, di due anni circa inferiore a quella media Ocse e di cinque più bassa rispetto all’età legale di vecchiaia (67). Lo si legge nel Rapporto Ocse Pensions at a Glance, nella scheda sull’Italia nella quale si ricordano le nuove regole per il sistema previdenziale a partire da Quota 100. La sfida sarà di «mantenere adeguate prestazioni di vecchiaia limitando la pressione fiscale a breve, medio e lungo termine».


L’Italia spende per il sistema pensionistico il 16% del Pil, il secondo livello più alto nell’area Ocse. Secondo il rapporto, il reddito medio delle persone con più di 65 anni è simile a quello dell’intera popolazione mentre nella media Ocse è più basso del 13%. L’Ocse sottolinea che l’età di ritiro legale è 67 anni, tre anni superiore a quella della media Ocse ma che di recente «è andata indietro rispetto alle recenti riforme introducendo Quota 100».


Aumentare l’età pensionabile

L’aumento dell’età pensionabile effettiva in Italia «dovrebbe essere la priorità, evidenziando la necessità di limitare il pensionamento anticipato agevolato e di applicare debitamente i collegamenti con l’aspettativa di vita». Si aggiunge nel rapporto a proposito dell’introduzione di regole che consentono il ritiro anticipato rispetto alla vecchiaia come la Quota 100. Bisogna poi «concentrarsi sull’aumento dei tassi di occupazione, in particolare tra i gruppi vulnerabili, il che ridurrebbe l’utilizzo futuro delle prestazioni sociali di vecchiaia».

L’Ocse sottolinea che l’Italia oltre ad aver introdotto Quota 100 che consente di ritirarsi in anticipo dal lavoro, ha bloccato l’aumento dei requisiti legati all’aspettativa di vita fino al 2026 per coloro che hanno almeno 42 anni e 10 mesi di contributi se uomini e 41 e 10 mesi se donne. Inoltre non è prevista una revisione per l’età di vecchiaia nel 2021 legata all’aspettativa di vita.

«Il sistema italiano – scrive l’Organizzazione – combina un’alta età pensionabile obbligatoria con un tasso di contribuzione pensionistica elevato del 33%» e ciò comporterà un tasso di sostituzione netto futuro (quando si raggiungeranno i 71 anni, ndr) molto elevato, il 92% per i lavoratori con salario medio a carriera piena contro il 59% in media nell’Ocse.

L’Ocse segnala inoltre che la pensione di cittadinanza ha innalzato i benefici per la vecchiaia portandoli al di sopra della media Ocse per questi schemi. In particolare l’Organizzazione ricorda le difficoltà del mercato del lavoro italiano con una percentuale di lavoro temporaneo e part time che generalmente dà guadagni più bassi, più alto rispetto alla media dei paesi Ocse.

«Queste forme di lavoro – avverte – aumentano il rischio di basse pensioni future dato che il sistema italiano collega strettamente le pensioni ai contributi. Inoltre i tassi di occupazione di giovani e anziani in Italia sono ancora bassi con il 31% di giovani tra i 20 e i 24 anni al lavoro contro il 59% medio Ocse e il 54% tra i 55 e i 64 anni contro il 61% della media Ocse. Anche questo rischio di carriere incomplete pesa sulla pensione futura strettamente legata ai contributi versati».

Infine l’Ocse ricorda l’alta percentuale di lavoro autonomo nel nostro Paese «Più del 20% dei lavoratori sono autonomi – si legge – a fronte del 15% nei paesi Ocse». E se nella media Ocse questi lavoratori hanno pensioni mediamente più basse del 22% rispetto ai lavoratori dipendenti in Italia c’è il divario più grande con una differenza che supera il 30%.

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