Povertà energetica: quando non ti puoi permettere di essere “green”, ma il problema ricade su tutti

La riduzione delle emissioni passa anche per il risparmio energetico e la riduzione dei costi, emerge così il problema dei “poveri energetici”

Sono questi i giorni della COP25 di Madrid. All’inaugurazione della conferenza in cui si tornano a discutere il problema dei cambiamenti climatici e cosa fare concretamente per ridurre le emissioni, la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen annuncia un «Green New Deal fra 10 giorni», mentre il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres parla di un «punto di non ritorno che sfreccia verso di noi».


Non tutti però siamo abbastanza forti da contribuire. Alcuni addirittura non possono proprio permettersi di ridurre i loro sprechi e questo comporta anche un aumento della loro spesa energetica: un circolo vizioso che li porta a non godere nemmeno dei sufficienti servizi energetici primari. Parliamo della «povertà energetica».


È come se andassimo a fare il pieno di benzina senza accorgerci che il serbatoio è forato, dunque non solo non avremo mai tutta la benzina che ci serve, ma spenderemo un tanto in più per il carburante che lasciamo finire per terra. Secondo l’Osservatorio europeo sulla povertà energetica, nel 2018 il 14% degli italiani si trovava in una situazione di «incapacità di mantenere la casa adeguatamente calda».

L’Unione europea si è posta degli obiettivi ben precisi da assolvere entro i prossimi 10 anni. Non si tratta solo delle evidenze scientifiche sulla nostra responsabilità nel Riscaldamento globale attraverso le emissioni di gas serra. Molte delle nostre emissioni sono dovute agli sprechi, non agli effettivi consumi.

Osservatorio europeo sulla povertà energetica/Incapacità di mantenere la casa adeguatamente calda: in Italia il 14% della popolazione è in questa condizione (dati del 2018).

La classificazione energetica degli edifici

Fin dai primi anni 2000 l’Ue ha cominciato a emanare delle direttive per far fronte al problema, a cominciare dalla 2002/91 che stabilisce «requisiti minimi di prestazione energetica nei nuovi edifici», mentre prevede conseguenti adeguamenti delle infrastrutture già esistenti. Infine, vengono introdotti i «certificati di prestazione energetica». Si giunge così alla direttiva di riferimento 2010/31.

Si comincia a parlare di «classi energetiche» con cui categorizzare gli edifici a seconda del loro uso e del relativo fabbisogno energetico, prevedendo tutti i debiti accorgimenti per ridurre al minimo la dispersione di calore e quindi il consumo di gas e corrente elettrica.

L’idea nasce per la prima volta in Danimarca nel 1981. Seguono varie altre direttive volte anche a garantire la tutela degli utenti «vulnerabili», garantendo a tutti un accesso alle risorse energetiche (2003/55); vengono poi definiti i requisiti per una costruzione eco-compatibile degli edifici (2005/32).

Servono anche da parte dei Paesi dell’Unione relative leggi che attuino le direttive europee. In Italia dal 2007 al 2015 vengono emessi diversi decreti legislativi e ministeriali. Il Dm del 26 giugno 2009 è il primo che introduce le linee guida per la certificazione energetica degli edifici sul territorio nazionale.

Lo strumento si è via via affinato fino ad arrivare al Dl 63/2013, coi relativi provvedimenti attuativi. In questo modo riusciamo anche a far fronte alle procedure di infrazione dall’Ue che sembrano sottolineare un certo ritardo da parte del Paese.

Le classi degli edifici possono variare a seconda delle disposizioni regionali. Sono definite sulla base del fabbisogno energetico necessario per riscaldare ogni metro quadro. L’edificio a norma riceve così un Ape (Attestato di prestazione energetica).

Dal sito web «Certificazione energetica facile»: classi energetiche degli edifici.

Tra i più esposti gli anziani

Secondo un’indagine condotta da Serena Rugiero della Fdv (Fondazione Giuseppe di Vittorio), su un campione di 962 anziani sottoposti a questionari in diverse regioni italiane, il 34% di loro si è rivelato essere «povero» o «vulnerabile» per quanto riguarda la copertura del fabbisogno energetico.

L’indagine mette in luce fattori strutturali e individuali di cui si dovrebbe tener conto nella gestione del problema. I primi riguardano il mercato energetico, i prezzi energetici, la regione e la struttura dell’edificio; i secondi riguardano lo stato sociale, il reddito e l’educazione ai problemi ambientali.

«Alla condizione di povertà energetica – riporta l’indagine – si associano maggiormente rispetto agli altri gruppi: l’assenza della casa di proprietà; il vivere in abitazioni monofamiliari o bifamiliari; il vivere in abitazioni di dimensioni ridotte.

Il 18% dei poveri energetici beneficia di una casa di proprietà del comune o di altri enti. L’aver effettuato lavori di ristrutturazione è un fatto meno frequente tra i poveri (26,1%) che tra i vulnerabili (44,5%) e gli altri intervistati (57,3%)».

Poveri e vulnerabili tendono ad assumere comportamenti mirati a ridurre il consumo, attivando i riscaldamenti solo quando strettamente necessario; tutti gli «altri» non cambiano le loro abitudini ma cercano di ridurre il fabbisogno: «acquistano elettrodomestici che consumano meno anziché limitarne l’utilizzo».

La carenza di una effettiva efficienza energetica dell’abitazione fa sì che i poveri riducano il consumo, mentre i vulnerabili risentono delle carenze di efficienza energetica dell’abitazione, quindi spendono di più per soddisfare il loro fabbisogno.

Una risorsa da 220miliardi di euro

Considerando che il 40% dell’energia prodotta in Europa viene assorbito dalle abitazioni e due terzi riguardano il riscaldamento, stando al Dossier Uni sulla certificazione energetica degli edifici del maggio 2016, prevedeva con l’adeguamento degli edifici per una maggiore efficienza energetica, di ottenere un risparmio di 220miliardi entro il 2020.

Combattere la povertà energetica significa quindi attingere a un’altra risorsa, che unità all’economia circolare e ad una riduzione delle emissioni, contribuirebbe non poco a raggiungere quegli obiettivi che ci prefiggiamo oggi a Madrid.

Foto di copertina: Mayastar/Flickr.

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