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Povertà energetica, quando scaldare casa costa troppo: le storie di Paola, Francesca, Afram e Samuel

14 Dicembre 2019 - 15:12 Emma Bubola e Juanne Pili
Quella energetica è una povertà nascosta che colpisce circa una famiglia su sette

I termosifoni non funzionano. Sono spenti dall’inizio dell’inverno e fa freddo nella casa popolare della periferia veronese in cui Paola* abita con la sua famiglia. Il padre della donna, un infermiere in pensione, è stato dimesso da poco dall’ospedale dopo una crisi respiratoria e Paola è preoccupata per la sua salute.

È il 13 dicembre e la neve di ieri si è trasformata in una pioggia sottile e gelida che bagna il ricco capoluogo veneto. «Non chiamo l’idraulico perché non me lo posso permettere»: Paola non fa giri di parole, ha quarantatré anni e guadagna 200 euro al mese facendo le pulizie in case di privati.

«Almeno 100 euro glieli dovrei lasciare, sono troppi», continua. Il comune ha iniziato da poco delle operazioni di riqualificazione del suo stabile e la donna aspetta, sperando che presto arrivi il suo turno.

A casa di Francesca*, la sua vicina, i tecnici sono già passati. Ma la trentaseienne, madre single di due ragazzi, tiene spenta la nuova caldaia. Il 17% delle famiglie italiane formate da un solo genitore non può permettersi di riscaldare adeguatamente la casa, rileva la Fondazione Openpolis. In generale, la povertà energetica colpisce il 14,6% delle famiglie italiane, una su sette, secondo dati dell’Osservatorio europeo sul tema.

Dall’inizio degli anni 2000 il fenomeno è cresciuto, con dei picchi durante gli anni della crisi economica. I numeri reali sono probabilmente più elevati delle cifre rilevate, che si basano sulla disponibilità di un genitore a dichiarare di non essere in grado di fornire a suo figlio un alloggio caldo.

Fonte: Openpolis

La gran parte dei nostri edifici è sotto gli standard energetici

Se da un lato la povertà energetica è un indicatore di deprivazione come tanti altri, dall’altro è un sintomo di un livello di manutenzione delle infrastrutture italiane spesso insufficiente.

La maggior parte delle case non rispetta i parametri di efficienza energetica che abbiamo introdotto nella prima parte della nostra indagine sulla povertà energetica e questo si riflette sui costi che le famiglie devono sostenere.

Per tutti i quattro anni in cui Afram* e la sua famiglia hanno abitato in quello stabile, insieme all’inverno arrivava il nastro adesivo alle finestre. Ormai era diventata un’abitudine vedere il padre arrampicarsi sugli infissi quando il freddo in casa si faceva insopportabile, e diligentemente sigillare tutti i cornicioni con lo scotch. «Altrimenti dovevamo tenerci il cappotto anche dentro», spiega il diciottenne.

Al piano di sotto, Samuel* e sua madre non accendono più i termosifoni: l’estate scorsa la richiesta di conguaglio è stata di 1.600 euro. Questa cifra che il ragazzo definisce «impossibile» era il risultato del tentativo di contrastare con il riscaldamento il freddo di una casa «in cui entrava il vento da tutte le parti».

Nel 2011, su 12 milioni di edifici residenziali, il 60% risultava costruito prima del 1976, quando è stata approvata per la prima volta una norma «per il contenimento del consumo energetico per usi termici negli edifici». Solo il 14% risulta invece costruito dopo il 1991, quando è entrata in vigore la legge 10 sull’efficienza energetica. 

Una casa che non risponde agli standard della classificazione energetica degli edifici significa inevitabilmente più sprechi, meno contenimento del calore e una maggiore domanda di energia che si riflette necessariamente sui prezzi.

«Gran parte degli edifici esistenti non si avvicina nemmeno ai requisiti minimi richiesti per le nuove costruzioni e il tasso di riqualificazione stenta a decollare», spiega a Open l’ingegnere gestionale Roberto Nidasio del Comitato termotecnico italiano (Cti) Energia e ambiente. «Per tale motivo è importante non solo richiedere elevati standard per i nuovi, ma anche, e soprattutto, cercare di spingere e sostenere la ristrutturazione energetica dell’esistente».

Il 18% delle persone che non riescono a riscaldare il proprio alloggio adeguatamente vive come Afram e Samuel in una casa popolare. I restanti, pur non dipendendo dal Comune o da altri enti, non dispongono delle risorse sufficienti per finanziare interventi che avrebbero un importante ritorno economico nel lungo termine.

Se i costi per le opportune ristrutturazioni e riqualificazioni degli edifici non sono trascurabili, «esistono però diversi incentivi (eco-bonus, conto termico)», spiega l’esperto.

Il tema è infatti stato più volte trattato in ottica «green» perché una casa inefficiente, provocando un fabbisogno maggiore, aumenta le emissioni inquinanti. Ancora una volta, ecologia e giustizia sociale si incontrano, delineando quello che dovrebbe essere l’epicentro di qualsiasi agenda politica.

*nome di fantasia

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