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Sulla prima del New York Times le donne di Bari Vecchia: «Il crimine della pasta». Il caso delle orecchiette “illegali”

10 Dicembre 2019 - 09:43 Felice Florio
Non sono tracciabili, ma tutti sanno da dove vengono. Non hanno una lista di ingredienti, ma tutti sanno che per farle basta acqua e farina. Bisogna trovare una soluzione, non una sanzione, per salvare una tradizione secolare

C’è una legge, c’è chi la deve far applicare. Ma esiste anche il buon senso e chi preferisce sanzionare piuttosto che intervenire. La tradizione delle orecchiette baresi, fatte a mano con i pollici sapienti delle signore che abitano il centro storico del capoluogo pugliese, finisce in prima pagina sul New York Times. «In Italia, il crimine della pasta», è il titolo del lungo reportage di Jason Horowitz. La storia si concentra sulle asperità normative che rischiano di mettere fine a quell’antica tradizione di via dell’Arco Basso.

Ogni giorno, da mattina a sera, donne di tutte le età tirano fuori taglieri e mattarello per lavorare la massa dalla quale poi, una alla volta, creano le orecchiette. È così da sempre e, per molte famiglie, la vendita della pasta fresca è l’unica fonte di sostentamento. D’altronde, la richiesta è alta: oltre ai tantissimi baresi che preferiscono comprare la pasta in via dell’Arco Basso al posto di quella industriale venduta al supermercato, le massaie sono diventate una sorta di attrazione turistica per i turisti che arrivano a Bari.

Tornare a casa con un sacchetto di pasta fatta davanti ai propri occhi è un’esperienza diventata popolare su tutte le guide turistiche. Ma, da ottobre scorso, questa tradizione è minacciata da una stretta delle autorità. Le signore non hanno battitori di cassa, certificazioni di rispetto delle norme igienico-sanitarie, autorizzazioni alla vendita di prodotti alimentari. Ma è così da secoli e il problema non si risolve multando il “rito della pasta”, che diventa anche momento per fare comunità e sorvegliare le viuzze del centro storico.

Nell’autunno 2019, la polizia locale si è presentata alla porta di un ristoratore barese. «Dove hai preso questa pasta?». Il problema delle orecchiette delle signore di Bari Vecchia è che non hanno etichette che ne indichino gli ingredienti e ne attestino la tracciabilità. Ma tutti sanno da dove vengono, tutti sanno che acqua, farina e sapienza sono gli ingredienti. Eppure, anziché risolvere il problema alla radice, si è optato per multare il ristoratore e distruggere chili e chili di pasta fatta a mano che aveva acquistato.

«Il sindaco di Bari, Antonio Decaro, ha promesso che si occuperà personalmente della faccenda», ripetono le signore, preoccupate dal fatto che, da un momento all’altro, possano arrivare «le guardie». Le ansie più diffuse tra le “donne delle orecchiette” riguardano le tasse, i controlli della Guardia di finanza e lo stop agli acquisti dei ristoranti che si riforniscono da loro. «Le attività che svolgono gli organi di controllo – spiega il comandante della Polizia locale Michele Palumbo -, non hanno mai avuto alcun carattere vessatorio, ma vanno solo inquadrate nella ordinaria attività di vigilanza che la legge richiede a tutela del consumatore».

La posizione delle autorità è chiara. Ma multare chi serve o vende le vere orecchiette di Bari, un fiore all’occhiello della cultura culinaria pugliese, non è la soluzione. Ci vuole buon senso: magari, prima di sanzionare, occorrerebbe fare un ragionamento con le signore di via dell’Arco Basso affinché la tradizione s’incanali nelle norme vigenti sulla sicurezza alimentare. Aiutarle a cambiare, per restare uguali: perché, in fin dei conti, le orecchiette sono perfette così.

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