Onu, la relatrice speciale sul diritto al cibo: «Serve ridurre produzione e consumo, o non andremo lontano» – L’intervista

L’accademica e esperta a livello internazionale del diritto all’alimentazione ha parlato a Open del rapporto tra cambiamento climatico e nutrizione, e del ruolo fondamentale fornito dalle donne in campo agricolo

Sconfiggere la povertà e la fame. Sono i primi due punti fermi delle Nazioni Unite nel contesto degli obiettivi di sviluppo del millennio. Entro il 2030, secondo l’agenda dell’Onu, la povertà, così come la fame, dovranno essere sradicate in tutto il mondo. Ma, a quasi una decade dalla scadenza fissata dal Palazzo di Vetro, la strada è ancora lunga e il raggiungimento dell’obiettivo lontano.


Ansa/Hilal Elver durante il suo intervento al 10° International forum on food & nutrition, Milano, 3 dicembre 2019

Secondo l’ultimo rapporto della Fao sullo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo, nel 2018 circa 820 milioni di persone non hanno avuto cibo a sufficienza, rispetto agli 811 milioni dell’anno precedente: l’aumento è stato registrato per il terzo anno consecutivo. Sono invece 2 miliardi le persone che si trovano in uno stato di insicurezza alimentare moderata o grave.


Che sia necessaria una modifica degli attuali sistemi alimentari e delle nostre scelte a tavola se vogliamo invertire il trend negativo è ormai un fatto sempre più evidente. «Il diritto al cibo è un diritto umano, un diritto socio-economico. Deve esserci un ordine globale e democratico che protegga le persone». A dirlo a Open è Hilal Elver, relatrice speciale delle Nazioni Unite per il diritto a cibo.

«Ripensare la nostra produzione alimentare»

Elver, docente alla scuola di Legge dell’università della California, ed esperta a livello internazionale di politiche alimentari, è intervenuta lo scorso 3 dicembre alla decima edizione del forum internazionale su Alimentazione e Nutrizione della fondazione Barilla: «Urgente ripensare la nostra produzione alimentare».

Al centro del dibattito è stata l’urgenza di intervenire sugli attuali sistemi agroalimentari, perché quell’idea di sviluppo e progresso, basata sulla convinzione che le risorse del pianeta fossero illimitate, non è più perseguibile.

«In tutto il mondo, soprattutto i Paesi più sviluppati sono concentrati sul loro interesse nazionale. È necessario che questo cambi e che si inizi a pensare agli interessi globali», afferma Elver che sottolinea la necessità di un ripensamento a livello mondiale dell’approccio alla produzione e distribuzione: «Dobbiamo dimenticarci del nostro sviluppo economico, o del Pil, se pensiamo solo alla visione economica e alla competizione non andremo lontani. È un imperativo pensare a ridurre la produzione, ridurre il consumo, e lavorare insieme: questo è l’unico modo per gestire sia il cambiamento climatico che la mancanza di risorse che ci troveremo ad affrontare».

Cambiamenti climatici e sistemi alimentari

Ed è proprio il cambiamento climatico a essere tra le maggiori cause e conseguenze di uno sfruttamento della terra e delle risorse sconsiderato. «Il cambiamento climatico è una minaccia esistenziale per tutti noi. Ma avrebbe un impatto maggiore su alcune popolazioni e Paesi, piuttosto che su altri», commenta Elver, che aggiunge: «I cambiamenti climatici costituiscono una minaccia per la produzione di cibo e per l’agricoltura a causa di secche, temperature alte, piogge abbondanti, mancanza di acqua».


Ansa/Agricoltori lavorano in una piantagione di sorgo bianco, Sana’a Yemen. 16 ottobre 2019

Gli attuali sistemi alimentari risultano tra i maggiori responsabili delle emissioni di gas a effetto serra globali. «I combustibili fossili sono utilizzati largamente nel sistema agricolo. Se pensiamo alla produzione globale di cibo e alla sua distribuzione nel mondo oltre il 50% delle emissioni di co2 vengono da ciò che mangiamo. Ridurre la produzione, ridurre il consumo devono andare di pari passo: è l’unico modo», continua Elver che sulla coltivazione della terra enfatizza il ruolo crescente e sempre più importante svolto dalle donna in quella che gli esperti definiscono la «femminizzazione dell’agricoltura».

La “femminizzazione dell’agricoltura”

«Il ruolo delle donne come produttori, fornitori e consumatori di alimenti è enorme nei sistemi alimentari e nell’accesso ad alimenti nutrienti. Purtroppo le barriere economiche e culturali fanno sì che ci sia ancora una diseguaglianza molto forte tra uomo e donna. I diritti alla terra, così come l’accesso ad altre risorse vitali come il credito, il know-how scientifico e tecnico e, infine, il mercato, sono molto limitati in tutto il mondo», aggiunge Elver che ritiene la valorizzazione delle donne nel campo agricolo fondamentale soprattutto alla luce dei recenti flussi migratori.

Ansa/Una donna in Zimbabwe si prepara a irrigare un campo nella regione di Insukamini. La scarsità di piogge che ha colpito il Paese ha aumentato considerevolmente il rischio fame e povertà, 16 ottobre 2019

«A causa di difficoltà economiche, di guerre e di problemi ambientali gli uomini si spostano dalle campagne alle città o emigrano all’estero alla ricerca di lavoro e le donne rimangono a casa a prendersi cura della terra, della produzione, dei bambini e dei più anziani».

«Pertanto – continua Elver – i governi dovrebbero prendere in considerazione la possibilità di rivedere i propri sistemi giuridici e le prassi se vogliono veramente occuparsi della sicurezza alimentare e dello sviluppo economico, soprattutto nelle zone rurali: dove il 60% degli agricoltori è costituito da donne».

Grandi potenze economiche: «Se non agiranno, nessuno lo farà»

Ma nessun Paese sembra pronto e incline ad attuare le misure necessarie per ridurre le emissioni e promuovere una dieta sostenibile: «La riduzione della produzione e del consumo devono andare di pare passo, ma nessun Paese è disponibile a fare questo», dice Elver.

Ansa/La copertina dl Time con la teenager svedese Greta Thunberg ‘Persona dell’Anno’

La scorsa settimana, nell’ambito della cop25, il segretario dell’Onu, Antonio Guterres, ha lanciato l’ennesimo appello ai leader mondiali per salvare il pianeta: «Ci sono famosi attivisti come Greta Thunberg che piangono, che dicono che non abbiamo più tempo. Cosa succederà? Non sono molto fiduciosa», commenta Elver.

«Questi grandi Paesi, primo fra tutti gli Stati Uniti, che producono il maggior numero di emissioni, sono i meno inclini a impegnarsi per il futuro e sono i maggiori responsabili del disastro ambientale», conclude Elver chiedendo ai leader dei grandi Paesi di «agire il prima possibile così che gli altri governi li possano seguire. Se le grandi potenze economiche non faranno nulla, nessuno li seguirà».

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