Con la Brexit torneranno in patria i Marmi di Elgin e altre opere europee? – L’intervista

Una nota controfirmata da autorevoli diplomatici fa riferimento alla possibilità che l’Ue possa far pressione sul Regno Unito affinché restituisca alcune opere d’arte europee ai paesi d’origine a seguito della Brexit

Diritti di pesca, dazi, ma anche opere d’arte. Mentre Regno Unito e Unione europea si preparano a negoziare il loro futuro rapporto commerciale post Brexit – e dopo la fine del periodo di transizione, la cui chiusura è attualmente prevista per dicembre 2020 – ecco che in una bozza del mandato di negoziazione dell’Ue è apparsa una clausola che fa riferimento alla restituzione degli «oggetti culturali rimossi illegalmente nei propri Paesi di origine». Fonti diplomatiche riprese dall’agenzia stampa Reuters hanno attribuito l’iniziativa alla Grecia. Inevitabile il riferimento ai Marmi di Elgin, le statue che costituiscono quasi metà del fregio del Partenone, ottenute dai britannici con un decreto imperiale del Sultano Ottomano a fine settecento, ma da diversi anni oggetto di rivendicazioni greche. 


A sostenere la Grecia ci sarebbero però anche Italia, Cipro e Spagna. Viene spontaneo supporre che anche questi paesi vogliano usare la Brexit per portare avanti le proprie rivendicazioni e bloccare la “diaspora di capolavori”, ma anche per far rimpatriare opere considerate una parte fondamentale del “patrimonio nazionale”, come la Gioconda (in realtà non “rubata”, ma regalata da Leonardo Da Vinci al monarca francese). Alla faccia di chi sostiene che la storia non si possa riavvolgere o che, in quanto patrimonio dell’umanità, le opere andrebbero conservate nei più prestigiosi musei del mondo e non necessariamente nei paesi di origine. 


Del resto l’Italia ci sta provando da anni, anche con il British Museum. Ad aprile del 2018 il ministero della Cultura italiano aveva chiesto la restituzione dei rilievi di marmo di epoca romana raffiguranti due uomini liberi, Publius Licinius Philonicus e Publius Licinius Demetrius, trovati a Villa Muti nelle vicinanza di Frascati ed acquistati dal commerciante d’arte Dr Jacob Hirsch nel 1954. 

British MuseumRilievo raffigurante Publius Licinius Philonicus e Publius Licinius Demetrius

Un altro caso noto riguarda la statua dell’Atleta di Fano, un bronzo trafugata dall’Italia ed attualmente custodita nel Getty Museum di Los Angeles sulla cui restituzione in Italia si è espressa la Corte di Cassazione (piccolo particolare: l’opera risale al periodo compreso tra il IV al II sec a.C ed è di origini greche).

Tutti casi relativemente recenti però. Per Fabio Isman, giornalista e scrittore, autore di L’Italia dell’arte venduta: collezioni disperse, capolavori venduti (Il Mulino, 2017), i negoziati sulla Brexit potranno incidere poco sulla restituzione di opere d’arte come i Marmi di Elgin. Appena raggiunto al telefono, lo mette subito in chiaro: «I Marmi del Partenone non c’entrano niente. Sono di proprietà inglese: dopodiché se gli inglesi vogliono regalare un mazzo di fiori a una signora o i marmi a un paese possono farlo. Ma non sono minimamente tenuti a farlo. Infatti tutte le richieste fatte fino ad oggi sono state rigettate». 

Quindi niente Marmi di Elgin. Perché?

«La politica dei ritorni è normata dall’Unesco dal 1970, ratificata anche da paesi extra-europei, e dice che le opere che vengono trovate e non hanno un proprietario documentato, tornano ai paesi originali. [La normativa è efficace da] dopo il 1970: per cui quello che è stato commercializzato prima non ricade sotto la disciplina Unesco. Tutte le cose che sono successo finora non influiscono affatto sulla presenza o meno del Regno Unito in Europa. Sono stati fatti degli accordi privati tra lo Stato e i musei. L’unica cosa che può cambiare è che se prima ci si poteva rivolgere alla Corte dell’Aia per un contenzioso con il Regno Unito, ora non lo potresti più fare»

Se non ci sarà una battaglia legale, ci sarà una battaglia politica per riportare a casa i “bottini coloniali”?

«Intanto per quanto riguarda il ritorno dei Marmi, l’accordo è stato fatto con lo Stato Ottomano, che era uno stato sovrano. Per quanto riguarda i bottini coloniali ci sono state restituzioni in tutti i paesi. Noi italiani abbiamo restituito all’Albania la statua della Dea di Butrinto, regalata a Mussolini, e la Stele di Axum, che era stata portata via dall’Etiopia. Valgono ancora le ruberie dei Nazisti, reati contro gli ebrei che non vanno in prescrizione, mentre i saccheggi avvenuti con Napoleone non valgono più, perché è passato molto tempo. In alcuni casi, come per le Nozze di Cana di Veronese, l’opera è stata permutata, quindi è a tutti gli effetti francese. Ma per il resto le restituzioni sono azioni di “buona volontà”»

E per quanto riguarda l’Italia: abbiamo un contenzioso aperto con il Regno Unito?

«Il contenzioso più grosso che l’Italia ha con la Gran Bretagna è il fallimento del più grande mercante d’antichità, Robin Symes. L’ultima asta che fece Symes valeva circa $41 milioni. Il suo patrimonio comprendeva circa trecento opere italiane. Alla richiesta di rimpatrio dei capolavori da parte dell’Italia i curatori fallimentari hanno chiesto un pagamento, che l’Italia ha rifiutato, e perciò c’è ancora una causa in corso. Ma anche in questo caso non dovrebbe cambiare nulla, perché anche in passato per i contenziosi con il Regno Unito in Italia non potevamo ricorrere a strutture europee, ma alla giustizia ordinaria. Di solito è il Ministero a fare una richiesta e sono i Carabinieri del Comando per i Beni Culturali, insieme all’Avvocatura di Stato, a portare avanti la causa»

L’obiettivo dell’Ue può essere quello di far pressione sul Regno Unito per contrastare la compravendita di materiale rubato tramite le case d’asta londinesi?

«Nelle aste c’è di tutto. Le case d’arte in teoria sarebbero tenute a una grande diligenza nel raccontare le opere che vendono, ma raramente rivelano la provenienza. Impossibile fare una legge contro le case d’asta: buona parte peraltro hanno sede negli Stati Uniti. Per esempio Sotheby’s non fa più aste di archeologia a Londra. Certo, con la Brexit il traffico potrebbe diventare più difficile. Non essendo più un Paese europeo bisognerà vedere che difficoltà ci saranno per il traffico e come cambieranno i controlli alla dogana»

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