Il divulgatore scientifico ha analizzato per Open gli ultimi dati dell’epidemia. Se ieri si erano registrati 3.526 nuovi contagi, il 18 marzo il numero è schizzato a 4.207
I dati pubblicati dalla Protezione civile il 18 marzo dicono che in Italia, attualmente, ci sono stati 35.713 casi di positività al Coronavirus: 4.025 guariti, 28.710 ancora infetti e 2.978 morti. Se nella giornata di ieri si erano registrati oltre 3.526 nuovi contagi, oggi il numero è salito a 4.207. «Non è una giornata positiva, dobbiamo essere onesti: ci aspettavamo numeri migliori, la verità è che l’impennata dei decessi era inaspettata perché arriva dopo giorni in cui il dato si era stabilizzato».
Giorgio Sestili, fisico e divulgatore scientifico, sostiene che «potrebbe trattarsi di una fluttuazione statistica. L’ipotesi però è che l’alto numero di decessi, proprio perché riscontrati in gran parte nelle province di Brescia e Bergamo, potrebbe essere un sintomo che le strutture ospedaliere sono particolarmente sotto stress». Sestili ha fondato una pagina Facebook molto seguita, Coronavirus – Dati e Analisi Scientifiche, dove condivide, appunto, dati e analisi scientifiche di scienziati e ricercatori sulla diffusione del coronavirus.
«Per quanto riguarda il numero di contagi, non rilevo cambiamenti sostanziali nelle regioni del Nord – aggiunge Sestili -. Il dato preoccupante da monitorare arriva dalle regioni del Centro-Sud. In particolare in Puglia e Abruzzo c’è stata una crescita importante dei casi di positività. L’aumento dei contagi in Lazio deriva invece dal cospicuo numero di tamponi che si sta facendo in quella regione».
«Quello che accade oggi nei dati è il frutto di ciò che è avvenuto nella realtà due settimane fa – chiarisce il fisico – negli ultimi giorni sul dato nazionale, sia rispetto ai casi positivi sia rispetto ai decessi, c’è stato un allontanamento dalla curva esponenziale. Il dato di oggi è una fluttuazione che ci avvicina di nuovo verso quella curva, ma è troppo precoce dire che la crescita è tornata a seguire livelli esponenziali».
L’emergenza coronavirus sta mettendo a dura prova la tenuta di tutte le nostre abitudini. Anche quella che ci sembrava essere la pratica più automatica e routinaria, quale fare la spesa al supermercato sotto casa, non rappresenta più un’attività così scontata. Ma se tra tutte le difficoltà create da questa crisi sanitaria, ci fosse anche l’occasione per scoprire che sì, esiste un’alternativa alla grande distribuzione? E che si può pensare a una quarantena senza supermercato?
Da quando il decreto presidenziale del consiglio dei ministri del 9 marzo ha racchiuso l’Italia in un’unica grande «zona protetta», non c’è città o paese in cui non ci si imbatta in code chilometriche agli ingressi dei supermercati. Abbiamo pacchi di guanti di plastica nelle le borse e mascherine improvvisate con foulard e scaldacollo portati sul viso. Poi, quando finalmente è il nostro momento, ci accorgiamo che al posto dei prodotti che cercavamo ci sono solo file di scaffali vuoti. Per non parlare poi le consegne a domicilio: il calendario del supermercato di turno è pieno fino al mese prossimo.
Cosa sono e come funzionano i Gruppi d’acquisto solidale (Gas)
Eppure, anche in un contesto come questo, si può fare di necessità virtù. «Sarebbe bello uscire da questa fase con qualche elemento critico in più rispetto a quando ci siamo entrati», dice Spartaco De Villa, responsabile della distribuzione milanese di Fuorimercato. Fuorimercato è una cooperativa che si occupa di mettere in rete sui diversi territori i produttori locali, per creare dei gruppi d’acquisto solidali (Gas) nelle diverse città.
I Gas sono gruppi di cittadini e cittadine che si riuniscono (anche virtualmente!) per fare insieme un unico ordine. In Italia di cooperative del genere ne esistono diverse, e tutte funzionano in modo semplicissimo. Alcune di loro, come Fuorimercato, assicurano anche la consegna a domicilio.
Come funziona una spesa di questo tipo? Facile. «Noi raccogliamo i prodotti provenienti da cooperative agricole locali», racconta. «Ogni mese apriamo due ordini sul nostro sito, durante i quali ogni gruppo di acquisto può ordinare tutto quello che è disponibile sul sito. Poi organizziamo la consegna».
Simona invece fa parte di L’Alveare che dice sì, un’altra cooperativa che mette in rete i vari produttori e organizza gas settimanali. Attraverso i vari gruppi si possono acquistare i prodotti scegliendoli dai vari cataloghi del territorio. I loro “alveari” – e cioè punti di distribuzione – sono sparsi in tutta Italia, ma anche qui la città più attiva è Milano (che ha ben 31 punti). Ora anche loro si stanno organizzando per incrementare la consegna a domicilio vista l’emergenza e l’aumento delle richieste. «Siamo una rete che lavora con i piccoli produttori e questa emergenza ci mette alla prova – dice Simona – ma siamo felici di essere un’alternativa reale», dice.
Se tutto si ferma, la natura no
«Le richieste stanno aumentando tantissimo», spiega Simona. «Sicuramente i punti di incontro non hanno i livelli di assembramento di un supermercato e si riescono a rispettare le regole di sicurezza. Ma stiamo lavorando per aumentare le consegne a domicilio perché, a oggi, con i mercati chiusi, questo modello di spesa è l’unica garanzia di sopravvivenza per i produttori della filiera corta che hanno bisogno di continuare a lavorare».
A tal proposito, a lanciare un appello per promuovere l’aiuto ai contadini era stata su Facebook l’Associazione Rurale Italiana (Ari), che in un post di poco successivo all’approvazione del dpcm del 9 marzo, aveva scritto: «Mentre c’è chi oscilla fra “riaprire tutto” e “chiudere tutto”, noi, i contadini e le contadine che producono il cibo per alimentare il nostro benedetto, assurdo Bel Paese, non ci siamo mai fermati e non ci possiamo fermare. Cercateci, chiamateci!».
Ma quella che sembra essere un’occasione importante per rilanciare il consumo consapevole, è ostacolata da provvedimenti che, standardizzando le normative, non tengono conto dei vari funzionamenti del mercato. Come spiega Spartaco, uno dei problemi principali del momento è giustificare gli spostamenti: «Ad esempio, se un Gas fa un acquisto collettivo e decidiamo insieme di consegnare i prodotti in un determinato punto, allora i clienti non sanno come raggiungere il luogo senza “violare” la quarantena».
«Il problema è che si è pensato a salvaguardare solo la grande distribuzione», dice ancora Spartaco. «E il paradosso è che la risoluzione per questa situazione di crisi viene affidata a un sistema intensivo che è parte del problema. Invece bisognerebbe incentivare le alternative: come da una parte ci siamo accorti di quanto sia importante la sanità pubblica, dall’altra ora dobbiamo capire che produrre, coltivare e distribuire in maniera non intensiva è una risposta importante di prevenzione».
L’alternativa locale
Tra i vari produttori locali c’è la Cooperativa agricola Coraggio, creata e mandata avanti da giovani agricoltori che dal 2015, grazie alla vittoria di un bando, lavorano sulle terre pubbliche nella zona della Cassia, a Roma. «L’idea era quella di proporre la creazione di vere e proprie piazze verdi, dei luoghi in cui si dessero dei servizi oltre che produrre», dice Giacomo Lepri, uno dei fondatori della cooperativa. «Ora lavoriamo sulla formazione dei bambini e degli adulti, siamo attenti alla biodiversità, promuoviamo i picnic sul territorio».
L’esperienza della crisi economica che la pandemia sta portando con sé dimostra ancora una volta il bisogno di sostenere un’alternativa valida al sistema di produzione come lo conosciamo. «In questa fase di emergenza un sistema economico è messo sotto scacco», dice Giacomo. «Vediamo che ci sono anche delle regioni territoriali che riescono a essere più resilienti: dove c’è meno concentrazione urbana e dove i ritmi sono meno frenetici, si riesce più facilmente a frenare gli effetti del virus. I contesti rurali quindi resistono meglio: noi ad esempio lavoriamo tutti i giorni e, anzi, abbiamo raddoppiato il numero di vendite».
In questo periodo la cooperativa ha accelerato anche la costruzione di una rete con gli altri produttori locali. Uova fresche, formaggi, ortaggi, pasta, farina, conserve: «abbiamo un portafoglio diversificato, un’offerta che, se non può essere identica a quella di un supermercato, di certo vale una spesa completa – per di più senza file e all’aria aperta».
«Se il nostro sistema avesse puntato di più a mantenere un’agricoltura territorializzata, cioè garantendo tanti lotti verdi produttivi e meno agricoltura intensiva, ora ci sarebbe più lavoro e meno congestione logistica», dice ancora Giacomo. «Un’agricoltura locale come la nostra è una risorsa preziosa: se i supermercati dovessero chiudere e se le merci non riuscissero più a spostarsi, questo tipo di presidi ambientali e lavorativi risulteranno sempre più necessari».