Egitto, Zaky resta in carcere. Sesto rinvio dell’udienza sulla custodia cautelare. Gli attivisti chiedono chiarimenti sulla legalità della detenzione

Lo studente dell’università di Bologna è detenuto dallo scorso 7 febbraio. Amnesty pensa a un cambio di strategia per liberarlo: «Rilasciare immediatamente Patrick per motivi di salute»

Continua a rimanere in carcere Patrick George Zaky, lo studente dell’università di Bologna arrestato all’aeroporto de Il Cairo, in Egitto, lo scorso 7 febbraio. È stata rinvitata per la sesta volta l’udienza in cui deve essere deciso se prolungare di altri 15 giorni la custodia cautelare in carcere del 27enne. «Come al solito rinviata di una settimana», riferisce all’Ansa una sua legale, Hoda Nasrallah. Un rinvio motivato ufficialmente – come quelli delle ultime settimane – dalle difficoltà legate all’emergenza Coronavirus, come ha reso noto un altro dei suoi avvocati, Walid Hassan.


«Occorre cambiare strategia» sul caso di Zaky, afferma Amnesty International tramite il suo portavoce Riccardo Noury. «Nelle prossime ore – anticipa all’Ansa Noury – contatteremo tutti i partner coinvolti nella campagna per rilasciare Zaky, in particolare quelli istituzionali, per avviare azioni comuni che abbiano un obiettivo diverso: rilasciare immediatamente Patrick per motivi di salute».


Zaky era arrivato in Italia lo scorso settembre dopo aver vinto una borsa di studio per frequentare un master in Gender studies all’università di Bologna. «Chiediamo un chiarimento al Procuratore generale sulla legalità della detenzione cautelare in corso senza ordinanza giudiziaria», scrivono amici e attivisti della rete Patrick Libero su Facebook.

«Comprendiamo che l’attuale situazione di emergenza presenta reali difficoltà per le procedure normali, ma quello che non capiamo e non accettiamo è che questo avvenga a scapito della legalità della detenzione delle persone e della loro sicurezza», proseguono. «La situazione attuale è illegale e non possiamo nemmeno rivolgerci al tribunale per risolverla, poiché il lavoro nei tribunali è molto limitato a causa dell’emergenza Covid-19. Questa situazione invia il messaggio che anche nelle situazioni più pericolose la prima scelta rimane quella di mettere a rischio la libertà, la salute e la vita delle persone».

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