Egitto, liberato uno studente Usa in prigione per un cartello. Amnesty: «Per Zaki Conte faccia come Trump»

Un cartello con la scritta “Libertà per tutti i prigionieri politici” gli è costato un arresto. Ora, grazie alle pressioni Usa, è stato liberato. L’appello di Amnesty è che si faccia lo stesso con Zaki

Si riaccendono le speranze sul caso di Patrick George Zaki, dopo la liberazione di uno studente medico americano, detenuto in Egitto per 500 giorni. Mohamed Amashah ha doppia cittadinanza americana ed egiziana, era finito in carcere dopo aver esposto un cartello in piazza Tahir, già epicentro delle primavera araba nel 2011, con la scritta «Libertà per tutti i prigionieri politici».


Il rilascio di Amashah è arrivato solo a seguito di mesi di pressione da parte del governo di Donald Trump. Una strategia sulla quale organizzazioni come Amnesty International spinge anche per altri casi come quello di Zaki, nella speranza che anche il governo italiano possa impegnarsi come quello americano per lo studente dell’Università di Bologna.


L’appello di Amnesty

«500 giorni di carcere per uno studente che aveva solo innalzato un cartello per chiedere la libertà per i prigionieri è un tempo enorme, però questa storia ci insegna che le pressioni a un certo punto pagano», queste le parole di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia all’Ansa.

Il presidente americano, continua Noury: «è riuscito a far scarcerare un cittadino egiziano e americano. Speriamo che Giuseppe Conte, che vanta e rivendica rapporti ottimi con Al Sisi, riesca a fare molto prima per ottenere la scarcerazione di un cittadino egiziano e onorario bolognese».

Le accuse a Mohamed

Mohamed Amashah era stato arrestato nel marzo 2019. «Prima di imbarcarsi per tornare a casa, a New Jersey City, Amashah, 24 anni, ha rinunciato alla cittadinanza egiziana come condizione per la sua liberazione. Al pari di migliaia di prigionieri politici in Egitto, lo studente è stato tenuto in detenuto preventiva con le accusa di aver “fatto un uso improprio dei social media” e di aver “aiutato un gruppo terroristico”», secondo Freedom Initiative group che ha seguito, passo dopo passo, il caso. I procuratori egiziani, infatti, avrebbe usato accuse vaghe per ottenere il rinnovo dei 15 giorni di detenzione pre-processuale per mesi o addirittura anni. Spesso anche in presenza di prove scarse.

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