500 pediatri da tutto il mondo in teleconferenza per scoprire il rapporto tra malattia di Kawasaki e Coronavirus. Ecco cosa è emerso

Si sono dati appuntamento alle 23.30 per fare il punto sulla situazione e per capire quale possa essere la portata del fenomeno in tutto il mondo. A partecipare, per l’Italia, anche il professor Angelo Ravelli, primario di reumatologia dell’ospedale pediatrico di Genova

Più di 500 pediatri collegati da tutto il mondo. Si sono dati appuntamento ieri sera, alle 23.30 (ora italiana) e si sono confrontati su Zoom, in teleconferenza, sulle possibili correlazioni tra malattia di Kawasaki e il Coronavirus. Una malattia che – come denunciato dal professor Angelo Ravelli, primario di reumatologia all’ospedale pediatrico di Genova e responsabile del gruppo di reumatologia della Società italiana di pediatria (Sip) e come emerso dalla lettera inviata a 11mila pediatri e pubblicata in esclusiva da Open – ha avuto un aumento esponenziale nelle ultime settimane, soprattutto nelle zone più colpite dal Coronavirus. Badate bene: nessun allarme, nessuna emergenza. Adesso, però, l’ospedale pediatrico di Boston – che ha organizzato la teleconferenza – ha voluto vederci chiaro e così ha chiamato a raccolta tutti i Paesi: Italia, Stati Uniti, Spagna e Inghilterra, solo per citarne alcuni.


Open | Dalla teleconferenza di ieri sera

Nell’ordine: PIMS-TS sta per “Pediatric inflammatory multi-system-toxic shock syndrome”, ovvero “infiammazione pediatrica multi-sistemica- sindrome da shock tossico”; malattia di Kawasaki; bambini con stato febbrile e con indici elevati di infiammazione.


«L’ipotesi, emersa ieri sera, è che il Covid-19 non sia la causa diretta della malattia di Kawasaki bensì la risposta immunitaria al virus, una reazione che io definisco “anomala”» spiega a Open il prof. Ravelli che ha partecipato alla teleconferenza a cui hanno aderito soprattutto gli “intensivisti”, ovvero i pediatri che si occupano principalmente di piccoli pazienti in terapia intensiva.

Ecco le tre forme di malattia

Tre le forme principali di malattia, in relazione al Covid-19, riscontrate in tutto il mondo:

  • La prima. La «classica malattia di Kawasaki con qualche aspetto atipico»;
  • La seconda. Una malattia, sempre collegata al virus, che «assomiglia a uno shock tossico, che può dare cali di pressione e che può portare in terapia intensiva. Questa è la forma più grave»;
  • La terza. Una sindrome infiammatoria sistemica multiorgano che «può richiedere anche in questo caso il ricorso all’intensiva».

Quanti sono i casi nel mondo

I casi di malattia di Kawasaki nei piccoli pazienti (spesso sotto i 2 anni), è bene ricordarlo, sono aumentati nelle ultime settimane e si sono riscontrati soprattutto nelle zone più colpite dal virus. «Al Gaslini di Genova ne ho avuti 5 in appena quattro settimane. Prima al massimo ne registravo 9 all’anno. Come mai?», ci confidava il prof. Ravelli che stima in «una decina» i casi in Italia (ma sono dati parziali, bisognerà attendere ancora un po’ per capire davvero la portata del fenomeno nel nostro Paese, ndr). In Inghilterra, invece, «sono 38 dal 25 marzo all’1 maggio» mentre in Spagna e Svizzera «circa 3-4 casi».

A sollevare il caso, però, è stata soprattutto la lettera inviata ai pediatri inglesi che evidenziava il ricorrere di questa sindrome in numeri maggiori del solito, sebbene non esponenziali. Da quel momento in poi i pediatri, soprattutto in Europa, hanno cominciato a lavorare su quella che appare sempre meno come una coincidenza.

Cosa fare

Open | La lettera inviata a 11mila pediatri

La malattia di Kawasaki è «un’infiammazione acuta dei vasi di piccolo e medio calibro di tutti i distretti dell’organismo la cui causa è attualmente sconosciuta». Colpisce i bambini e tra i sintomi più comuni ci sono «febbre, arrossamento congiuntivale di entrambi gli occhi, arrossamento delle labbra e della mucosa orale, anomalie delle estremità (mani, piedi e regione del pannolino), eruzione cutanea e interessamento dei linfonodi della regione del collo».

Il consiglio per i genitori è sempre lo stesso: «Nessun allarmismo, quando riscontrate strani sintomi (dalla febbre alta alla congiuntivite fino alle macchie sul corpo, ndr) chiamate il pediatra e, se è è il caso, portate il bimbo in ospedale» aggiunge il professor Ravelli a Open. I trattamenti ci sono eccome: la malattia di Kawasaki si può curare soprattutto se presa in tempo. E nei bimbi colpisce più il cuore che i polmoni: «Li curiamo con cortisone, farmaci che servono a sostenere il cuore e ovviamente le immunoglobuline, nei casi più gravi».

Strani casi anche a Bergamo e Roma

Anche a Bergamo (comune duramente colpito dalla pandemia), come spiegato ad Open da Lucio Verdoni, pediatra dell’ospedale Papa Giovanni XXIII, si stanno riscontrando strani casi: «Negli ultimi cinque anni, in media, ho affrontato 4 casi all’anno di bambini con malattia di Kawasaki, quest’anno siamo già a 16. E sa quanti ne sono arrivati solo da domenica ad oggi? Ben 4. Mai così tanti, peraltro tutti “complicati” e tutti con sierologia positiva al Covid-19».

23 sono, invece, i casi che la prof.ssa May El Hachem, primario di Dermatologia all’ospedale pediatrico Bambino Gesù, sta studiando a Roma. A non convincere, qui, sono i geloni ai piedi per i ragazzi dai 10 ai 17 anni. «In due settimane 30 ragazzi con geloni. Come mai? Tutti adesso e tutti con un’irritazione cutanea che di solito si manifesta con il freddo e non di certo con queste temperature e in questa stagione. Cosa deduco? Che non possiamo negare un rapporto con il Coronavirus ma, attenzione, lo studio è in corso, quindi non c’è ancora una validazione scientifica» dice a Open.

Anche in questo caso i geloni potrebbero essere il segnale di un possibile contatto tra i ragazzi e il virus che, quindi, potrebbe aver scatenato la reazione cutanea. Il condizionale è d’obbligo. La doppia coincidenza, però, sta nel fatto che casi simili si siano registrati anche negli Stati Uniti, come racconta un reportage del New York Times.

Nessuna prova, al momento, che possa certificare, dal punto di vista scientifico, il rapporto tra queste malattie e il Covid-19 ma i dubbi e le coincidenze sono ormai troppe. E i pediatri di tutto il mondo lo sanno bene.

Foto in copertina di Liane Metzler per Unsplash

Leggi anche: