L'uomo ha 85 anni, è malato e dal 28 aprile si trova nella sua casa di Geraci Siculo, a Palermo. Si tratta di uno dei 376 detenuti che hanno beneficiato della scarcerazione per motivi di salute
Domiciliari anche per Cataldo Franco, ergastolano, che è tornato nella sua casa di Geraci Siculo, a Palermo, per il pericolo che potesse contrarre il Coronavirus in carcere. Cataldo Franco, che oggi ha 85 anni ed è malato, non è un detenuto qualsiasi: si parla dell’uomo condannato all’ergastolo per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo.
Il bimbo ucciso era figlio di un collaboratore di giustizia
Era l’estate del 1994 quando i Corleonesi, con a capo il boss mafioso Totò Riina, insieme ai fratelli Giovanni ed Enzo Brusca, decisero di sequestrare – con quattro mafiosi travestiti da poliziotti – il figlio del pentito Santino Di Matteo per 26 mesi. Prima di essere ucciso nel peggiore dei modi – strangolato e sciolto nell’acido su ordine di Giovanni Brusca il 12 gennaio 1996 – venne tenuto prigioniero nel capannone di Cataldo Franco. Lì, però, rimase due mesi: il bimbo venne restituito ai suoi aguzzini perché il capannone, che era stato trasformato in una cella, serviva per la raccolta delle olive.
Cataldo Franco è fuori dal carcere dal 28 aprile
L’uomo, che era detenuto al carcere di Opera, a Milano, si trova dal 28 aprile nella sua casa in Sicilia. Il suo nome figura, insieme a quello di altri 376 detenuti, nell’elenco di coloro che hanno beneficiato della scarcerazione per motivi di salute.
Lavoro di cura, lavoro domestico e lavoro agricolo. Ci voleva una pandemia per far riconoscere a questi impieghi la qualifica di essenziali. Oscurate per anni da «altre urgenti priorità», le criticità di questi settori tornano ora a farsi strada nel dibattito pubblico e politico, diventando il più fresco terreno di scontro della maggioranza. Oggi, nel pieno della crisi da Coronavirusche ha messo a nudo la vulnerabilità dei lavoratori in quei settori, la politica ricomincia a parlarne. E lo fa tramite una proposta della ministra per l’Agricoltura Teresa Bellanova.
Abbandono, irregolarità, sfruttamento della manodopera: tutte caratteristiche di cui per anni si è nutrita l’economia sommersa di questi settori. Stando ai dati Istat pubblicati a fine 2019, tra il 2014 e il 2019 nel settore dell’Agricoltura, silvicoltura e pesca il lavoro irregolare ha rappresentato il 16,9% del totale. Secondo l’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, invece, in Italia il tasso stimato di irregolarità nei rapporti di lavoro in agricoltura è pari al 39%. Le cose vanno ancora peggio se si guarda al settore domestico e di cura: su circa 2 milioni di lavoratori, almeno 865mila sono irregolari.
In entrambi i casi, la maggior parte della manodopera (sottopagata) è fornita da stranieri: il 73,1% di colf e badanti non è italiano, così come il 26,2% dei braccianti (dati Coldiretti). Ecco perché è praticamente impossibile tenere separato la messa in regola contrattuale e la messa in regola dei documenti. E proprio sul nodo tra lavoro nero e lavoro straniero si gioca la partita nella maggioranza. Vediamo più da vicino in cosa consiste la proposta della ministra Bellanova.
Perché?
Quella al governo non è certo una discussione sui diritti umani. La proposta di Bellanova non è a lungo termine ma, come troppo spesso accade in questi anni, si tratta di una misura tampone pensata per venire incontro a una crisi di mercato. La pandemia da Coronavirus ha creato un’emergenza di manodopera tale da far aprire alla Coldiretti una piattaforma per “agricoltori occasionali” che vogliono dare il loro contributo nelle campagne per evitare che gran parte del raccolto vada buttato.
Parallelamente c’è anche la questione sanitaria. Le condizioni di vita dei migranti irregolari, in larga parte costretti ad abitare in baracche e tendopoli di fortuna, preoccupano il governo dal punto di vista della catena dei contagi. Non è certo una novità che i braccianti agricoli (non solo stranieri) vivano in condizioni disumane.
Lo stesso Aboubakar Soumahoro, sindacalista dell’Usb e a capo del movimento dei lavoratori della terra, aveva spiegato a Open che «nelle baraccopoli fatte di lamiere si vive senza acqua corrente, senza mascherine e senza guanti». Oggi, con i numeri dei morti tracciati a livello internazionale, per la politica è certo più rischioso far finta di non aver previsto il rischio.
Chi?
Lo scontro si gioca proprio su questo punto. La parola “irregolari” ha una doppia valenza: da una parte si riferisce alla mancanza di contratto che regola i rapporti di lavoro; dall’altra si riferisce alla mancanza di permesso di soggiorno che riguarda gran parte della manodopera agricola. Se dal punto di vista del lavoro nero le opinioni della maggioranza e delle opposizioni sono allineate («va fatto emergere», dicono in coro), sul secondo punto il terreno si fa scivoloso.
Per Matteo Salvini, autore dei decreti sicurezza che hanno reso ancora più difficile per un migrante fare la richiesta di asilo e per un immigrato richiedere il permesso, si tratta di una «maxisanatoria gravissima». L’opposizione a Bellanova ha fatto ritrovare la concordia (almeno su questo punto) tra vecchi alleati di governo – anche se Vito Crimi non ha mancato di sottolineare che è stata la Bossi-Fini la più grande «sanatoria» della seconda Repubblica. Secondo il Movimento 5 Stelle, la «sanatoria» (vale a dire la messa in regola dei lavoratori) servirebbe solo a favorire ulteriore illegalità.
Ma quello su cui sta lavorando Bellanova con il sostegno della ministra dell’interno Luciana Lamorgese – alla quale spetta la prima e l’ultima parola sul tema – non è certo una messa in regola definitiva. Proprio perché si tratta di una riflessione unicamente economico-sanitaria, appunto, la proposta di Bellanova è quella di «concedere un permesso di soggiorno temporaneo per sei mesi, rinnovabile per altri sei».
I dettagli sono ancora in studio, ma, a quanto si apprende, per individuare gli irregolari bisognerà fare affidamento sui datori di lavoro: saranno loro a dichiarare di voler regolarizzare i dipendenti e, in cambio, riceveranno degli aiuti economici dallo Stato («ma senza esagerare», ha detto la ministra).
Quanti?
Proprio questa clausola potrebbe far rivedere le stime di Bellanova sul numero delle regolamentazioni. Secondo fonti vicine al dossier, le cifre saranno più basse di quelle annunciate dalla ministra, perché non tutti i datori di lavoro faranno richiesta di regolarizzazione. D’altronde, perché cambiare rotta per una “sanatoria” che dura solo per 6, forse 12, mesi?
Bellanova ha parlato di un totale di circa 600mila lavoratori, ma ha anche detto di non «essere in grado di dirlo con certezza». Secondo gli ultimi numeri forniti dall’Onu, in Italia ci sono circa 680mila persone migranti senza documenti. Secondo la Relatrice Speciale ONU per il diritto all’alimentazione, Hilal Elver, il numero corrisponde a due volte la cifra rilevata 5 anni fa. Di questi, circa 500mila sono impiegati come manodopera nel settore agricolo. «In agricoltura lavora la più elevata quota di lavoratori irregolari in relazione al numero totale di impiegati nel settore», ha scritto Elver nel rapporto.
Secondo l’Onu, a peggiorare le cose sono arrivati anche i Decreti Sicurezza di Salvini, che hanno contribuito «alla crescita dei migranti senza documenti e la ‘illegalizzazione’ dei richiedenti asilo e spinto sempre più persone nel lavoro irregolare». Una tesi che, di fatto, è all’esatto opposto di quella di Crimi. Ma non è una cosa che deve stupire: anche il Movimento 5 Stelle era al governo quando quei decreti sono stati approvati.