La partenza al lavoro non passa solo dalla mascherina. Ora ricominciamo a parlare di gender pay gap

in collaborazione con Philip Morris Italia

Distanziati. Con l’aria pulita dai filtri appena controllati. I pavimenti e le scrivanie sanificate ogni giorno e le mani protette dai guanti. La Fase 2 è iniziata e con lei un nuovo modo di pensare al lavoro e una nuova attenzione per garantire un posto di lavoro sicuro a tutti i lavoratori. Sicuro, appunto. Sicuro per quanto riguarda la salute del dipendente, sicuro per prevenire i contagi, sicuro per evitare di finire in una nuova quarantena. Ma davvero si ferma all’ambito sanitario la sicurezza sul lavoro? Forse no.


Oggi più che mai la sicurezza deve riguardare non solo gli spazi fisici, ma anche la retribuzione, la possibilità di fare carriera e di lavorare in un ambiente inclusivo e privo di discriminazioni. Perseguire la sicurezza sul lavoro diventa forse per l’Italia l’occasione per eliminare un’ingiustizia sociale e retributiva: il gender pay gap, ovvero la differenza di salario tra uomini e donne a parità di lavoro svolto.


Che la diversità di genere in Italia sia ancora un tema poco considerato è stato evidenziato anche durante questa emergenza. Le task force di esperti contavano (in quasi la totalità dei casi) un numero esiguo di donne rispetto al totale dei rappresentati, e purtroppo, ancora una volta, per ottenere la stessa considerazione e gli stessi diritti degli uomini, le donne hanno dovuto alzare la voce. Sembra incredibile, anche perché gli eroi di questi mesi, i medici e gli infermieri italiani impegnati nell’emergenza, sono per la maggior parte donne! Sono donne il 77% degli infermieri, come il 65% dei medici sotto i quarant’anni di età.

I dati italiani sul gender pay gap

Secondi i dati Eurostat, l’Italia è uno dei Paesi europei in cui il gender pay gap è più ridotto. Negli ultimi report disponibili, la differenza di retribuzione tra uomini e donne viene fissata al 5,6%, il secondo miglior risultato in Europa. Buono, si potrebbe dire, anche se ulteriori sforzi sono necessari per azzerare tale differenza. Inoltre, purtroppo, questo dato apparentemente confortante non valuta adeguatamente almeno tre fattori:

  • Il primo: il dato si riferisce solo al lavoro full time. Secondo i dati pubblicati da Istat nel febbraio 2020, il 32,8% delle donne lavora part time – poco meno di un terzo del totale delle donne occupate. Un dato quattro volte più alto rispetto a quello degli uomini che invece si ferma all’8,7%;
  • Il secondo: esiste una differenza fondamentale tra pubblico e privato. Nel settore pubblico, complice anche la legge, il gender pay gap sarebbe in effetti molto basso, tanto da arrivare al 4,1%. Uno dei dati migliori in tutta Europa. Ma a controbilanciarlo c’è il settore privato, dove la differenza sulla paga oraria tra uomini e donne può andare oltre il 20%, percentuale che trascina l’Italia alle ultime posizioni della stessa classifica europea;
  • infine, il fattore più importante: il tasso di occupazione femminile, ovvero la percentuale di donne lavoratrici, è molto basso. Secondo l’ultima indagine Istat, infatti, in Italia solo una donna su due ha un’occupazione. Un dato molto preoccupante che si aggrava nel Meridione, in proporzione all’insufficienza di servizi per l’infanzia e di supporto alle mamme, che si trovano spesso costrette a lasciare il lavoro per prendersi cura dei figli. I dati dell’ISFOL, l’ente di ricerca del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, ci dicono che il 27% delle donne lascia il lavoro dopo aver avuto il primo figlio.

Il caso Philip Morris: la prima realtà aziendale in Italia certificata Equal Salary

L’equità del salario è solo il primo passo per colmare il gender gap. Avere lo stesso stipendio ma diverse possibilità di carriera rappresenta comunque una discriminazione di genere. Come capire allora se un’azienda garantisce le stesse condizioni a tutti i suoi dipendenti?

Nel 2010 Véronique Goy Veenhuys, imprenditrice e da sempre paladina dell’equità salariale tra uomini e donne, ha fondato in Svizzera la Fondazione Equal-Salary, organizzazione non-profit che si occupa di verificare se un’azienda possa veramente ritenersi virtuosa nell’equità tra uomini e donne e guadagnarsi così l’Equal Salary Certification. La certificazione attesta l’annullamento del differenziale di trattamento tra i generi, considerando non solo la retribuzione, ma anche qualifica, trattamenti e promozioni. 

La prima multinazionale al mondo ad aver ottenuto la certificazione Equal Salary è Philip Morris International. E le due affiliate italiane del gruppo Philip Morris Italia e Philip Morris Manufacturing & Technolohy Bologna, sono state le prime realtà aziendali in Italia ad essere certificate, nel 2018, dopo aver raggiunto obiettivi sfidanti, giudicati e validati da un ente terzo – la società di consulenza PwC.

Per ottenere la certificazione, infatti, non basta una fotografia della situazione economica dell’azienda che mostri parità salariale tra uomini e donne a parità di mansione svolta. Lo scrutinio che bisogna superare non è solo quantitativo, ma anche qualitativo: a un primo confronto dei dati sulle retribuzioni, infatti, segue uno studio che valuta eventuali differenze nelle opportunità professionali e di crescita tra uomini e donne.

L’Equal Salary Certification per Philip Morris non è un traguardo, ma un punto di partenza. L’obiettivo del gruppo multinazionale è avere almeno il 40% di presenza femminile nelle posizioni manageriali entro la fine del 2022. Inoltre, in Philip Morris colmare il gender gap non è una mera questione quantitativa o di quote da rispettare, ma una trasformazione strutturale nel modo di fare impresa.

Trasformazione che è nel DNA recente di questa azienda, leader mondiale del tabacco, che sta lavorando all’ambizioso obiettivo di creare un mondo senza fumo, eliminando le sigarette tradizionali a beneficio di quei fumatori adulti che altrimenti continuerebbero fumare.

Obiettivo che, secondo il dipartimento di risorse umane – People & Culture, come si chiama in azienda –, è intrinsecamente legato anche alla gender equality: “Per realizzare la nostra visione di un futuro senza fumo puntiamo sull’inclusione e su un sempre maggiore equilibrio tra uomini e donne. Non è un mistero che i team di lavoro inclusivi e diversificati siano più innovativi e ottengano risultati migliori. La nostra trasformazione passa anche da questo.” dichiara Paolo Le Pera, Direttore P&C di Philip Morris Italia.