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Bonafede: al Senato bocciate le mozioni di sfiducia. Il ministro: «Sono soddisfatto, ora al lavoro»

20 Maggio 2020 - 15:40 Angela Gennaro
Dopo aver tenuto il governo sulla graticola, Renzi e Italia Viva votano con la maggioranza. E l'ex premier sposta il focus sul presidente del Consiglio. È lui, dice, il gancio per mantenere in vita l'esecutivo

Con 160 voti contrari e 131 favorevoli (su 297 presenti e 292 votanti), il Senato non approva la mozione di sfiducia del centrodestra contro il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Stesso destino per la seconda votazione, su un’altra mozione di sfiducia sempre al Guardiasigilli, a firma della senatrice Emma Bonino e altri: con 302 presenti e 301 votanti (maggioranza di 142), hanno votato a favore 124 senatori mentre 158 sono stati i voti contrari. 19 gli astenuti. «Sono soddisfatto, ora al lavoro». È stato il commento a caldo del ministro della Giustizia.

Come anticipato dalle cronache e dai giornali, dopo aver tenuto l’esecutivo sulla graticola, Matteo Renzi e Italia Viva sono stati leali in aula con la maggioranza di cui pure fanno parte. «Voteremo contro le mozioni di sfiducia, ma riconosciamo al centrodestra e Emma Bonino di aver posto dei temi veri. La sua mozione non era strumentale», spiega Renzi in aula nella sua dichiarazione di voto sulla sfiducia al ministro. Sullo sfondo, quello che per alcuni è un altro “posto al sole” nel governo per IV, con un rimpastino in vista a settembre.

L’intervento di Renzi

Il voto è cominciato poco dopo le 13.30. In base a quanto deciso dai capigruppo per evitare gli assembramenti in Aula, sono indette due “chiame”: ciascun senatore vota dal posto, con entrata nell’emiciclo scaglionata a gruppi di 50 ogni dieci minuti, secondo l’ordine alfabetico.

Sono due le mozioni di sfiducia individuale nei confronti del Guardasigilli. La prima è del centrodestra, a firma dei capigruppo di Lega, Fratelli d’Italia e Fi, quindi rispettivamente Massimiliano Romeo, Luca Ciriani e Anna Maria Bernini e critica il “culmine del fallimento complessivo” dell’operato di Bonafede, individuato nella vicenda del capo del Dap.

«Se noi votassimo oggi secondo il metodo che il ministro della Giustizia ha usato nella sua esperienza parlamentare nei confronti dei membri dei nostri governi passati, lei oggi dovrebbe andare a casa», esordisce Matteo Renzi. E fa i nomi di ministri sfiduciati nel tempo dal Movimento 5 Stelle: Angelino Alfano, Federica Guidi, Maria Elena Boschi, Maurizio Lupi, Luca Lotti. «Ma noi non siamo come voi. Io mi auguro che questa riflessione che l’ha colpita – e so che lei tutto è tranne che persona avvicinabile dalla mafia – possa farla riflettere. Costringere persone e famiglie a subire l’onta di un processo mediatico fa male», dice il senatore di Scandicci.

«Le vostre mozioni non erano strumentali ma non le voteremo», dice rivolgendosi ai firmatari delle due iniziative di sfiducia individuale a Bonafede. «Per quello che ha detto il presidente del Consiglio: ove mai ci fosse stato un voto contrario, lui ne avrebbe tratto le conseguenze. E quando parla il presidente del consiglio, si deve rispetto istituzionale. Lei, Conte, si prende una grande responsabilità. Ma negli ultimi tempi ha dato segnali importanti», afferma Renzi. «Un voto contro il ministro della Giustizia è un voto contro il governo», avevano avvertito dalla maggioranza M5s e Pd in queste ore.

Iv al Senato, dove i numeri sono risicati, vanta 17 voti che avrebbero potuto potrebbero fare la differenza nella sfiducia a Bonafede (e all’esecutivo tutto).

Mentre non lesina critiche al ministro della Giustizia. «Se Bonafede ci avesse ascoltato nel febbraio 2020 sul Dap, le scarcerazioni non ci sarebbero state. Ma lo voglio dire chiaramente: a noi non interessa un sottosegretario: a noi interessa che ripartano i cantieri».

L’intervento di Bonafede

La vicenda che riguarda Nino Di Matteo «è stata ormai a dir poco sviscerata in ogni sua parte». E «sono stati ampiamente sgomberati tutti gli pseudo-dubbi». Risponde così alle due mozioni di sfiducia nei suoi confronti a palazzo Madama il ministro della Giustizia, ribadendo che la scelta del capo del Dap fu discrezionale. In aula, ad ascoltarlo, ci sono anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri ed ex capo politico del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio.

«In queste ultime settimane fuori da qui si è sviluppato un dibattito gravemente viziato da illusioni e illazioni. Ma posso portare avanti la forza ed evidenza dei fatti». La nomina Dap del giugno 2018 «è stata oggetto di informativa alla Camera», dice Bonafede. I fatti, con Nino Di Matteo, «non hanno niente di particolare rispetto alle dinamiche di una qualsiasi nomina fiduciaria e discrezionale».

Ci furono condizionamenti? «No. E non sono più disposto a tollerare illazioni», tuona il Guardiasigilli. E rivendica la «determinazione della lotta al malaffare». Sulla scelta del capo del Dap che portò alla scelta di Francesco Basentini invece di Nino Di Matteo non ci fu «nessunn condizionamento».

Covid e carceri

Anche sulla gestione dell’impatto dell’emergenza virus nelle carceri, il Guardiasigilli restituisce le accuse al mittente e respinge «ogni strumentalizzazione politica».

«Sono strutture chiuse dove è più difficile per il virus entrare. Ma dovesse entrare, la concentrazione delle persone ne aumenta la capacità di diffusione», die Bonafede. «Non c’è paese al mondo colpito dalla pandemia che non si sia posto il problema delle carceri». Anzi, la gestione italiana dell’epidemia collegata alle problematiche degli istituti penitenziari «ci è stata anche copiata all’estero».

Ha funzionato? «Giudicate voi», dice Bonafede. «Al 19 maggio 2020 dei 53458 detenuti nelle carceri italiane risultano accertati 102 contagi di cui una persona ricoverata in strutture esterne. Sono finora guarite 122 persone recluse e purtroppo sono morti 1 detenuto e 2 persone in detenzione domiciliare».

ANSA/Alessandro Di Meo | I ministri Luigi Di Maio, Alfonso Bonafede e Roberto Speranza, arrivano a palazzo Madama per la seduta del Senato in cui si voterà la sfiducia individuale al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, Roma 20 maggio 2020.

E sulle scarcerazioni: i giudici che hanno scarcerato i detenuti in questi ultimi mesi lo hanno fatto in base a leggi «in vigore da 50 anni e che nessuno aveva mai cambiato», tuona Bonafede.

Al Senato

È cominciata alle 9.30 nell’Aula del Senato la discussone sulle mozioni di sfiducia presentate nei confronti del Guardiasigilli. La discussione generale si è conclusa intorno alle 11.30, con la replica del ministro subito dopo. Poi le dichiarazioni di voto, in diretta Rai, e le votazioni.

Italia Viva aveva tirato la corda fino all’ultimo, con le parole di Matteo Renzi che in mattinata descriveva via Twitter il suo intervento di oggi come uno dei «più difficili della mia esperienza politica»

Le due mozioni

«Vogliamo la sfiducia del ministro delle scarcerazioni allegre», dice il senatore leghista Pasquale Pepe illustrando la mozione di sfiducia del suo partito nei confronti del ministro. «Non è stato in grado di proteggere nessuno nelle carceri nell’emergenza coronavirus. Si è dimostrato assolutamente inadeguato».

L’altra mozione è firmata da Emma Bonino (+Europa), da Matteo Richetti (Azione) e da un nutrito gruppo di senatori di Forza Italia. È definita “mozione Tortora”, con riferimento alla vicenda di malagiustizia di cui fu vittima il popolare presentatore televisivo, e la critica è sulla la generale gestione, da parte di Bonafede, del comparto affidato al suo ministero “in senso giustizialista e populista”.

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«Lo scontro è tutto interno al suo partito», attacca Emma Bonino presentando la sua mozione in aula. «Chiediamo le sue dimissioni non perché lei è sospettato ma perché non vogliamo un ministro della Giustizia che sia il rappresentante della cultura del sospetto», dice Bonino ricordando il 32esimo anniversario, in questi giorni, della morte di Enzo Tortora. «A lui ho intitolato questa mozione, per contrapporre con chiarezza e precisione un’idea della giustizia a un’altra».

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«Oggi qui si discute di quale politica per la Giustizia serva all’Italia», dice la radicale in aula. «Se la continuità del governo dovesse significare la continuità della politica della giustizia praticata da Bonafede inviterei tutti a considerare che l’Italia non ne avrebbe nessun giovamento». Per Bonino, Bonafede è il “ministro del sospetto”. «Pensiamo che la Giustizia sia una istituzione di garanzia di tutti i cittadini e non strumento di lotta politica o di moralizzazione civile. Per noi la giustizia non coincide con le manette come per Bonafede», conclude. »Bonafede paga una tangente ideologica al giustizialismo penale. E dove è finita la promessa riforma della Giustizia penale o quella del Csm? Io voglio una giustizia che non faccia paura ai cittadini ma restituisca loro la fiducia nel giusto processo e nella correttezza della amministrazione».

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Non che nel Pd la sfiducia venga rigettata senza se e senza ma. «Non c’è alternativa a respingere la sfiducia a Bonafede. Ma non è obbligatorio farlo fingendo di condividerne le idee. Le politiche per la giustizia di questo governo sono pessime e devono cambiare radicalmente. E spetta al Pd chiederlo. Anzi esigerlo», scrive su twitter Matteo Orfini, parlamentare del Partito Democratico.

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