Premio Strega, oggi la finale. Così cominciano i romanzi dei finalisti – Gli audio

Jonathan Bazzi, Gian Arturo Ferrari, Gianrico Carofiglio, Daniele Mencarelli e Valeria Parrella: sono loro i finalisti

Oggi, a partire dalle 23, a Villa Giulia si deciderà il vincitore della più importante competizione letteraria in Italia, il Premio Strega. Sono sei i finalisti. Alcuni nomi sono già noti al grande pubblico, come Sandro Veronesi e Gianrico Carofiglio. Nel caso di Gian Arturo Ferrari, per anni alla guida del gruppo Mondadori, il premio segna il suo passaggio da dietro le quinte al palcoscenico dell’editoria.


Daniele Mencarelli, di professione poeta, ha già vinto il Premio Strega Giovani 2020 – ma il giovane per antonomasia è Jonathan Bazzi, 35 anni di Rozzano, vero outsider del premio, ripescato perché in cinquina deve rientrare anche una casa editrice medio-piccola. E poi c’è Valeria Parrella, unica presenza femminile, in un premio che è stato vinto – su 73 edizioni – soltanto undici volte da una scrittrice.


Jonathan Bazzi – Febbre

Tre anni fa mi è venuta la febbre e non è più andata via. 11 gennaio 2016. Trentun anni non ancora compiuti. Torno dall’università: è ora di pranzo, ma non ho fame. Cos’hai? Non mi sento tanto bene, forse mi sta venendo la febbre. Mi metto sul divano, non riesco a leggere. La febbre mi viene. Non va più via. Una settimana, due settimane. Un mese. 38, 38 e mezzo, poi s’abbassa ma si blocca lì. 37.4, 37.3, non smette, non passa. La colonnina di mercurio incantata. L’abbasso. Risale. Ogni volta che tolgo il termometro da sotto l’ascella spero che scenda. Ma non lo fa. Sempre un po’ oltre il 37, il confine, lo spartiacque – tra quello che ero e quello che sono.

Sandro Veronesi – Il colibrì

Il quartiere Trieste di Roma è, si può ben dire, un centro di questa storia dai molti altri centri. È un quartiere che ha sempre oscillato tra l’eleganza e la decadenza, tra il lusso e la mediocrità, tra il privilegio e l’ordinarietà, e per adesso tanto basti: inutile descriverlo oltre perché una sua descrizione potrebbe risultare noiosa, all’inizio della storia, addirittura controproducente. Del resto, la migliore descrizione che si può dare di qualunque posto è raccontare cosa vi succede, e qui sta per succedere qualcosa di importante. Mettiamola così: una delle cose che succedono in questa storia dalle molte altre storie succede nel quartiere Trieste, a Roma, in una mattina di metà ottobre del 1999, in particolare all’angolo tra via Chiana e via Reno, al primo piano di uno di quei palazzi che appunto non staremo qui a descrivere, dove sono già successe migliaia di altre cose.

Valeria Parrella – Almarina

Mi chiamo Elisabetta Maiorano, e non è che me lo stia chiedendo qualcuno: sono io che me lo ripeto in testa ogni volta che arrivo al varco di Nisida (come mi ripeto in testa il codice del bancomat mentre sto ancora camminando verso lo sportello). Ogni volta che entro mi sento in colpa. Alla sbarra, quando mi fermo per farmi riconoscere, mi viene da abbassare gli occhi, mostro il viso senza davvero guardare in faccia l’agente, come se avessi la macchina carica di cocaina. E la vedo alzarsi con uno sforzo enorme quella sbarra, come se la dovessi sollevare io o fosse colpa mia che Nisida è un carcere minorile, le avessi scavate con le mie mani le strade di tufo che fanno arrampicare su la macchina. Come se mi stessero facendo un favore. Appena arrivo davanti a quella sbarra perdo ogni diritto civile, ogni sostanza acquisita nel tempo, non sono più nessuno, né una laureata, né un’insegnante che ha vinto concorsi, che ha fatto anni di supplenze al nord e sa rispondere male a chi non rispetta la fila. Quella che va a denunciare lo specchietto scassato, le gomme bucate, lo sportello rigato dalla chiave.

Daniele Mencarelli – Tutto chiede salvezza

«Maria ho perso l’anima!
Aiutami Madonnina mia»
Nero e ancora nero. Questa deve essere la morte.
«Maria ho perso l’anima!
Aiutami Madonnina mia»
Odore di bruciato, sempre più forte, il calore che diventa fuoco, arde. Spalanco gli occhi sul mondo come fosse la prima volta, a fatica riesco a tenerli aperti, ma soltanto per poco.
«Maria ho perso l’anima!
Aiutami Madonnina mia»
Accanto a me ritrovo uno sconosciuto, sembra San Francesco, solo allucinato, sporco, secco da fare paura, ha un accendino in mano. L’odore di bruciato sono i miei capelli, sta dando fuoco alla mia testa. Vorrei chiedere aiuto, ma non ce la faccio, è come se il cervello non riuscisse a comunicare con il resto del corpo.
Un urlo di ragazza strepitante esplode nell’aria, mi volto, esce dalla bocca di un quarantenne, ha i capelli rossicci tinti, pochi, completamente rivoltati da una parte, urla ancora:
«Pino!! Pino!! Madonnina sta a da’ fòco a quello nòvo!!»

Gian Arturo Ferrari – Ragazzo italiano

Andavano sgangheratamente nella notte, il bambino e la nonna, sembravano due ubriachi. La nonna che oscillava di qua e di là a ogni passo per il peso della valigia, il bambino tenuto per mano che si spenzolava dall’altra parte. Fingeva di essere prigioniero e di voler scappare, era un gioco. “Dai su,” ripeteva la nonna, “dai Ninni su, andiamo, andòm.” Non era arrabbiata, aveva anzi piacere a vederlo così vispo, ma non voleva neanche perdere il treno. “Poi va a finire che scivoli e ti rompi una gamba.” C’era ghiaccio sul marciapiede e semmai era la nonna che rischiava davvero di cadere, con quella valigia da una parte e questo osmaro, questo furfante, dall’altra.

Gianrico Carofiglio – La misura del tempo

– Che abbiamo oggi, Pasquale? – chiesi entrando in studio e pensando, nello stesso momento e per l’ennesima volta, che si trattava di un rituale di cui ero stanco.
– Vediamo… la Colella dovrebbe venire finalmente a pagare. Poi c’è il consulente tecnico del processo Moretti, la questione della lottizzazione; passa a prendersi le carte, ma dice che vuole parlare con lei cinque minuti. E alle sette una cliente nuova.
– Chi è?
Pasquale sfogliò, con il consueto lieve sussiego, il blocnotes a spirale che porta sempre con sé. Ognuno di noi ha qualcosa che lo identifica e in cui, se ne è consapevole, si identifica. Per Pasquale è il bloc-notes. Li compra lui, senza metterli sulle spese di cancelleria dello studio, e li prende sempre uguali, di un tipo fuori moda che si trova solo in una vecchia cartoleria, polverosa e un po’ commovente, del quartiere Libertà. Hanno la copertina nera ruvida e il taglio lievemente colorato di rosso, come quelli che usava mio nonno.

Foto e video di Vincenzo Monaco

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