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Le altre stranezze sull’ufficio stampa Il Taccuino. Come un insulto sessista può aprire un vaso di Pandora

24 Luglio 2020 - 18:45 David Puente
A seguito dei due articoli pubblicati da Open sono giunte numerose segnalazioni e stranezze su Il Taccuno. Abbiamo chiamato il titolare

Tutto era iniziato da una recensione negativa di un libro pubblicata da una blogger che aveva mandato su tutte le furie l’ufficio stampa bolognese che le aveva inviato l’opera. Quest’ultimo non si era limitato a criticare il lavoro della ragazza, lasciandosi andare a veri e propri insulti sessisti verso la sua persona in maniera ossessiva attraverso i propri canali social. Il vaso di Pandora è stato aperto, la comunità delle blogger e degli amanti dei libri avevano scatenato la reazione social contro l’ufficio stampa tanto da indurre il titolare, Francesco Lavorino, a rimuovere tutto e a pubblicare un video dove cercava di spiegare la situazione addossando le colpe a una presunta collaboratrice responsabile della comunicazione «stressata» a causa della recente morte del figlio. Il vaso di Pandora, però, non è stato affatto chiuso.

La storia de Il Taccuino non finiva con le esternazioni social, utenti curiosi avevano scovato diverse anomalie all’interno del sito dell’ufficio stampa come la presenza di foto sottratte a terzi per presentare al pubblico presunti collaboratori di elevata caratura o presunte collaborazioni con case editrici a loro insaputa. Per quale motivo un’attività come questa, che si vanta del suo lavoro, ha bisogno di attuare certi stratagemmi? Ecco, da questo e altri dubbi è nata questa inchiesta che ha portato a un giro di clienti insoddisfatti, collaboratori non pagati, insulti sessisti e avvocati alla ricerca di un indirizzo dove far recapitare cortesi letterine senza riuscirci.

Sono state tante le giustificazioni fornite dal titolare dell’azienda Il Taccuino, Francesco Lavorino. L’uso delle foto e dei nomi inventati, a suo dire, servivano per coprire l’identità dei collaboratori reali che però lavorano per altri uffici stampa. Per quanto riguarda le case editrici, erano stati gli autori dei libri a rivolgersi a lui e per questo aveva inserito tra le collaborazioni Watson Edizioni e altre società del settore. Ciò, però, non significa che ci sia stata una vera e propria collaborazione e non è un caso che in altre occasioni alcune persone siano state contattate per farsi dare un parere sull’operato de Il Taccuino, cadendo dalle nuvole in quanto non c’è mai stata alcuna collaborazione.

Il sito dell’ufficio stampa, nel frattempo, viene oscurato con un «work in progress» e l’unico canale social rimasto in piedi è quello di Instagram, dove a sua volta sono spariti i vari post sulla vicenda e il video del titolare. A prima vista il sito non presentava una partita Iva, forse in qualche pagina interna e di certo non in quella dei contatti dove compariva un numero di cellulare, lo stesso di un’altra agenzia chiamata Blob Agency con lo stesso titolare e una partita Iva, la stessa usata da Il Taccuino in alcuni contratti firmati con alcuni clienti insoddisfatti.

Screenshot di un contratto della Blob Agency fornito da un precedente cliente.

Dal proprio sito l’ufficio stampa si presentava come un’azienda, con uno staff ricco di elementi e con un portfolio di tutto rispetto, ma come poteva un’azienda avere la stessa partita Iva di un’altra scomparsa qualche anno fa? Ebbene, non risulta registrata presso il registro delle imprese un’azienda chiamata Il Taccuino presso la regione Emilia Romagna e la partita Iva in questione è quella di un normale libero professionista, Francesco Lavorino. Qualcosa non quadra, soprattutto quando in un contratto datato primo marzo 2019 compare come sede operativa via Silvagni 29 a Bologna e come sede legale Il Taccuino Agenzia Media c/ Rue du Rucher 7, 2402 La Chaux de Fonds – Swiss. Esatto, una sede legale in Svizzera per una partita Iva da libero professionista.

Il contratto del 1 marzo 2019 con la sede legale in Svizzera

Non è l’unica stranezza. Nei contratti, la sede operativa diventa poi la sede amministrativa, in altri non viene riportata alcuna specifica se non un semplice «sede», ma ad un certo punto cambia anche la partita Iva. In un contratto datato 25 novembre 2019 l’intestazione diventa Il Taccuino Ufficio Stampa Media Deluxe Agency di di Nancy Mbaabu [n.d.r. la doppia “di” è presente nel contratto] con una partita Iva registrata poco prima, rimanendo invariati indirizzo della sede amministrativa in via Silvagni 29 a Bologna e il numero di cellulare.

Il contratto del 25 novembre 2019 dove cambia la partita Iva.

Oltre a non esistere un’azienda, ma ben due partite Iva, ciò che risulta strano è l’indirizzo della sede. Tra i clienti insoddisfatti c’è anche chi si è rivolto ad un avvocato non solo per il fatto di aver visto sfumare il proprio denaro per un servizio incompleto, ma anche per i toni delle comunicazioni ricevute dallo stesso titolare dell’ufficio stampa e non tanto diversi da quelli pubblicati dalla presunta collaboratrice che aveva offeso la blogger. In vista di una denuncia in sede civile, risultava difficile recapitare la letterina al signor Lavorino in quanto tornavano indietro in mancanza di un destinatario che la ricevesse. Qualcuno è andato oltre, individuando un indirizzo di residenza a Roma dove però risulta irreperibile. Che operasse a Bologna non c’è dubbio, alcuni clienti e collaboratori si erano incontrati con il titolare della partita Iva personale nei pressi dell’indirizzo indicato nel sito, ma nessuno di loro ha mai visto la sede. Non risulta, però, la sua abitazione ufficiale.

La presentazione sul sito de Il Taccuino dove Lavorino si dichiara pubblicista.

Non finiscono qui le ombre sull’operato del titolare di una delle partite Iva associate a Il Taccuino. Francesco Lavorino, infatti, si presentava nel sito come «pubblicista freelance di fama ultra decennale» e dunque come un giornalista iscritto all’albo. Ecco, contattato via Pec l’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia Romagna e quello nazionale la risposta è stata solo e soltanto una: il signor Francesco Lavorino non è presente nei nostri elenchi. Molto strano per chi si presenta ai clienti come un giornalista senza esserlo.

Non restava altro che contattare telefonicamente il titolare della fantomatica azienda Il Taccuino. Al numero di cellulare risponde proprio Francesco Lavorino che, seppur indispettito e sostenendo ancora di aver chiarito la brutta situazione che si era generata, accetta di rispondere ad alcune domande. Le prime riguardavano l’esistenza dell’azienda e delle sedi vantate nei vari contratti, inclusa quella Svizzera, ma di fronte a queste preferisce non fornire risposta senza aver consultato il proprio avvocato: «Non c’è il mio avvocato vicino a me e non ti rispondo», dice. Richiesta più che lecita, ma l’intervista continua.

La domanda successiva che pongo a Lavorino riguarda il ruolo di giornalista pubblicista pubblicato sul sito de Il Taccuino. Senza indugio afferma chiaramente di esserlo e di essere iscritto all’albo, ma al domandargli in qualche ordine regionale sia iscritto non risponde e controbatte criticando il genere di domanda. Ebbene, gli spiego che non risulta iscritto e gli domando se usi in qualche modo un altro nome, ma non fornisce alcuna spiegazione in merito a tutta la questione.

Proseguo, con la speranza di ottenere risposta almeno per i casi riguardanti le collaborazioni con le case editrici per poi arrivare a parlare di alcuni suoi clienti insoddisfatti, muniti di avvocati desiderosi di parlare con il suo. Per quanto riguarda le prime in parte conferma, in parte aggiunge, spiegando che comunque aveva trattato le opere da loro pubblicate nonostante siano stati gli autori a rivolgersi a lui, ma il punto dolente arriva quando inizio a parlare di una sua cliente, Jay Manari, che ammette di conoscere per poi chiudere la telefonata in maniera burrascosa.

Tante, tantissime erano le domande da porre a Francesco Lavorino. C’erano anche le storie di una band chiamata LeFragole che si era affidata all’allora Blob Agency, scomparsa nel nulla, così come quella di Stefano, Guido o quella di Laura e altri ancora. Non ci sono solo i clienti insoddisfatti, ci sono anche collaboratori non pagati e che accusano Lavorino di averli trattati in malo modo, anche se i toni riportati sono anche gli stessi fatti nei confronti dei clienti dimostrando che c’è un vero e proprio comune denominatore: la mancanza di rispetto e l’arroganza.

Ecco, è proprio sui toni espressi attraverso email, telefonate e messaggi Whatsapp che fanno tornare alla mente gli insulti sessisti nei confronti della blogger Daisy. A Jay Manari, il cui caso aveva evidentemente irritato Lavorino tanto da tirare giù il telefono durante l’intervista, Lavorino l’aveva definita «civetta stressata». Alle ragazze de Il Colore dei Libri, ad esempio, erano state rivolte le parole «ringrazia quella racchia che ha creato tutto questo casino. Ridicole hobbiste». Queste ultime avevano scritto, nello scambio email del 4 luglio 2020, che lo avrebbero denunciato ottenendo la seguente risposta: «Attendo con molto tedio la notifica dell’ atto  che il mio avvocato (noto volto televisivo) distruggerà in 30 minuti di lavoro».

L’avvocato è un altro punto in comune nelle comunicazioni con clienti e non solo. A Ivan Alemanno, titolare di Watson Edizioni (che ci inoltra una sua video testimonianza), era giunta una email del 5 luglio con scritto «tu non conti in cazzo» [n.d.r. errore compreso] seguito da un «Abbassa subito la cresta» e un «le mie risposte hanno più senso della tua casa editrice». Nella lunga discussione, tra le email de Il Taccuino leggiamo «Ho anche un ufficio stampa di avvocati (107)» e «Quando vedrai chi è il mio avvocato cambierai idea». La formula è la stessa, invitare l’interlocutore a procedere sostenendo di avere le spalle coperte da qualcuno di molto potente e bravo nel suo lavoro. Peccato che, in nessuna occasione, abbia dichiarato il nome dell’avvocato. Deve coprirlo per qualche motivo come i presunti collaboratori con le foto prelevate dal web?

Come dicevo, tante le domande da rivolgere a Francesco “Frank” Lavorino per le quali non ha voluto affatto rispondere durante la telefonata. A seguito della stessa, ha inviato diversi messaggi Whatsapp al sottoscritto dove sosteneva che fosse «surreale e assurdo» che invece di proporgli un lavoro a Open lo avessi chiamato per farlo apparire un truffatore, oltre che pessimo imprenditore. Chiede scusa per come mi aveva attaccato al telefono, sostenendo di essere disposto a rispondere alle mie domande solo in presenza del suo avvocato in un luogo pubblico da lui scelto «se e solo se» cancello gli articoli pubblicati fino ad ora sulla vicenda de Il Taccuino o pubblicandone un altro sulla «situazione reale del Taccuino Ufficio Stampa Bologna» con un testo che riporto di seguito:

Erano 34 su 37 I collaboratori reali del Taccuino (Mea culpa). Il Taccuino ha effettivamente diffuso un libro per Watson Edizioni e Alter Ego edizioni e a testimonianza della buona fede dello staff Bolognese basta andare a scorgere un post dell’ Ufficio Stampa risalente a Giugno del 2019 con tanto di logo di entrambe le case editrici. Anche se il Taccuino deve ancora chiarire diversi aspetti della propria situazione amministrativa, voglio scusarmi con loro per aver esagerato con le accuse nei loro confronti scambiandoli e additandoli al di là delle loro colpe.

Numerosi scambi di mail forniti dalla direzione del Taccuino testimoniano l’esistenza di numerosi collaboratori che si erano negati (Mercurio, Olivieri, Godano, Gallone,…).

Ebbene, la seconda condizione è stata rispettata. Ora attendiamo che proponga il luogo dove incontrare lui e il suo avvocato per ottenere le risposte che molti stanno cercando.

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