Secondo uno studio inglese, l’algoritmo di Facebook «promuove attivamente» la negazione dell’Olocausto. Ecco come

La ricerca ha evidenziato come digitando la parola “olocausto” nella funzione di ricerca di Facebook emergano suggerimenti per pagine negazioniste, che a loro volta consigliano collegamenti a editori di testi e letteratura revisionista

Nei divieti di incitamento all’odio stabiliti da Facebook non rientrano quelli per i contenuti negazionisti dell’Olocausto. È quanto emerge dall’indagine condotta dall’organizzazione antiestremista inglese ISD (Institute for Strategic Dialogue), che riporta come l’algoritmo di Facebook «promuova attivamente i contenuti di negazione». Una ricerca che sconcerta e che coincide con le crescenti richieste internazionali dei sopravvissuti all’Olocausto al fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, di rimuovere tale materiale dal social network.


L’analisi ha evidenziato come – almeno per gli utenti inglesi – digitando la parola “olocausto” nella funzione di ricerca di Facebook, emergano suggerimenti per pagine negazioniste, che a loro volta consigliano collegamenti a editori di testi e letteratura revisionista. Ad aggiungersi ai contenuti proposti anche pagine dedicate al negazionista britannico dell’Olocausto, David Irving, che appare come protagonista di gruppi social anche digitando il nome dall’Italia, come mostrato in foto.


«Proteggere il legittimo dibattito storico»

Pochi giorni fa Mark Zuckerberg aveva affrontato l’argomento annunciando di aver bloccato contenuti relativi alle teorie del complotto sugli ebrei che «controllano il mondo», aggiungendo la decisione alle norme di divieto volte a impedire le pubblicazioni di discorsi di incitamento all’odio, già valide per Facebook e Instagram. Tutto questo sembra però non essere valido per la negazione dell’Olocausto, non riconosciuta a quanto pare come forma di incitamento all’odio.

«Un punto cieco concettuale»: l’Istituto inglese che ha portato avanti la ricerca definisce così la grave mancanza, scoprendo almeno 36 gruppi Facebook con un totale di 366.068 follower, tutti dedicati alla negazione dell’Olocausto. Non solo. Seguendo le pagine a tema, il social network raccomanda ulteriori contenuti, proponendo altri gruppi e profili ad argomento negazionista.

«Proteggere il legittimo dibattito storico», questa la motivazione che starebbe alla base di una tale decisione da parte di Zuckenberg, mentre per il senior research manager dell’ISD, Jacob Davey, «è solo un deliberato strumento utilizzato per delegittimare la sofferenza del popolo ebraico e perpetuare truppe antisemite di vecchia data».

Contattato dal Guardian, che per primo ha dato conto della ricerca, un funzionario di Facebook ha commentato: «Trovare il giusto equilibrio tra mantenere le persone al sicuro e consentire la libertà di parola è difficile e sappiamo che molte persone sono fortemente in disaccordo con la nostra posizione. Sviluppiamo e rivediamo costantemente le nostre politiche e ci consultiamo con organizzazioni di tutto il mondo per assicurarci di farlo bene».

Non solo Facebook

Dalla ricerca inglese si sottolinea quanto la scoperta non riguardi soltanto Facebook. I ricercatori hanno individuato contenuti di negazione, facilmente accessibili, anche su Twitter, Reddit e YouTube. 2.300 i contenuti su Reddit che menzionano “olohoax”, il termine spesso usato dai negazionisti, 19mila post su Twitter, 9.500 video su YouTube, tutti creati negli ultimi due anni. A proposito di YouTube, gli studiosi hanno anche evidenziato come la politica dei divieti abbia avuto effetti positivi dalla primavera del 2019, quando sulla piattaforma di video la negazione dei contenuti di negazione ha prodotto una effettiva riduzione di ricerca del termine “olohoax”.

La portata del problema risulta preoccupante anche per la potenzialità nascosta di diffusione. «Una quantità significativa di contenuti di negazione è espressa in un linguaggio e con dei codici nascosti troppo accurati» spiega Jakob Guhl, il coordinatore della ricerca ISD. «Per questo l’analisi non mostra la reale portata della diffusione dei contenuti sui social media».

In copertina Facebook/Jews for David Irving

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