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Carolina Larreira, la compagna del diplomatico morto nell’attentato all’Onu del 2003: «Mai un’inchiesta indipendente»

26 Agosto 2020 - 10:11 Angela Gennaro
Vieira de Mello era in servizio come rappresentante speciale delle Nazioni Unite per l'Iraq: è morto, assieme ad altre 21 persone del suo staff, in un attentato nel 2003. «Non puoi operare per portare sicurezza agli esseri umani se sei compromesso in questo modo», affonda la compagna, uscita illesa dalle macerie

«Quella bomba, ha come fermato tutto. Ci è voluto tanto, tantissimo tempo per capire cosa era successo e quale era stata la mia trasformazione». Carolina Larriera oggi ha 47 anni. Probabilmente quello di diventare (co)protagonista di un film su Netflix era l’ultimo dei suoi pensieri.

Eppure è successo: il titolo è semplicemente Sergio, ed è il racconto degli ultimi tre anni di vita di Sergio Vieira de Mello, il diplomatico brasiliano morto, assieme ad altre 21 persone del suo staff, in un attentato all’hotel Canal, sede degli uffici dell’Onu a Baghdad, il 19 agosto del 2003. Carolina, oggi ex diplomatica, all’epoca aveva 30 anni ed era la sua compagna.

«Un tipo tosto, e una brava persona», racconta oggi chi lo ha incrociato sul campo. Vieira de Mello era in servizio come rappresentante speciale delle Nazioni Unite per l’Iraq: oggi è sepolto a Ginevra, nel cimitero di Plainpalais. La sua morte, in quello che è stato definito “l’11 settembre” dell’Onu, ha cambiato il corso della storia: dell’Iraq e delle Nazioni Unite stesse.

INSTAGRAM | Carolina Larreira

Cosa è successo il 19 agosto 2003

Il lungometraggio realizzato dallo statunitense Greg Barker si concentra sulla storia d’amore tra il diplomatico e l’economista Carolina Larriera: brasiliano lui, argentina lei, condividono gli ultimi anni di vita dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

Larriera verrà dichiarata sua moglie civile dalla giustizia brasiliana dopo dieci anni di battaglie legali con la ex moglie di Sergio, Annie, madre dei suoi due figli. Oggi vive a Rio de Janeiro, la città dove Sergio era nato e dove le aveva promesso che sarebbero andati a vivere. Fermandosi, finalmente, un po’.

E invece. Quel giorno è a Baghdad anche lei, e dall’attentato rivendicato poi da Abu Musab al-Zarqawi, leader del gruppo terroristico al-Qaeda, ne esce praticamente illesa. Lo racconta lei stessa di suo pugno in questi giorni con un intervento sul Guardian e un altro sul quotidiano portoghese Pùblico.

Una testimonianza dura, come duro è l’appello che oggi fa alle Nazioni Unite, che rischiano, a suo dire, la perdita di senso e scopo. «Quel giorno sono andata in cucina a preparare la cioccolata calda per la colazione, ma i miei piani sono naufragati quando mi sono resa conto che un’interruzione di corrente all’alba aveva rovinato il latte», dice Carolina Larriere sul Guardian, 17 anni anni dopo quel giorno.

«Ci siamo dovuti accontentare di ovomaltina diluita con acqua. Il mio compagno mi ha preso la mano e mi ha detto che non importava, che presto saremmo partiti per Rio de Janeiro. Poi ha preso la sua valigetta e, per sicurezza, ci siamo diretti con un convoglio di auto verso l’hotel Canal, dove si trovava il nostro ufficio».

ANSA /MIGUEL RAJMIL/JI | Un’immagine del 22 luglio del 2003 di Sergio Vieira de Mello, Rappresentante speciale delle Nazioni Unite per l’Iraq, ucciso il 19 agosto 2003 a Bagdad

In ufficio, all’improvviso tutto diventa buio. Carolina rivede Sergio solo ore dopo: «Intrappolato tra le macerie di un edificio in fiamme, ha lottato per mantenersi cosciente mentre gli parlavo e cercavo senza successo di tirarlo fuori da quella che presto sarebbe diventata la sua tomba». Mi amor, chiama lei nel film attraverso uno spiraglio tra le macerie. Lui si spegne lentamente, schiacciato dai detriti. Te amo.

E in questo c’è la prima accusa senza appello che Carolina muove all’organizzazione. «La sua morte è avvenuta dopo aver aspettato per quattro ore, in agonia, che qualcuno lo salvasse. Ciò che alla fine lo ha ucciso è stata la mancanza di preparazione da parte dell’amministrazione delle Nazioni Unite. La mia telefonata satellitare di aiuto al quartier generale è stata ostacolata da più livelli gerarchici, prima che la linea venisse addirittura interrotta. I rifornimenti di soccorso consistevano in una scatola di cerotti e una sola barella. Non c’erano altre attrezzature per aiutare gli oltre 200 feriti».

ANSA /EVAN VUCCI/JI | L’esplosione al quartier generale dell’Onu a Baghdad, 19 agosto 2003.

17 anni dopo, per Carolina è tempo di bilanci. Lei che ha passato questo tempo a lottare per vedere riconosciuto il suo ruolo nella vita del compagno, ma anche per denunciare che, per esempio, il suo nome non è mai stato incluso nell’elenco dei sopravvissuti dell’Onu. Per anni, dice, sull’attentato del 2003 è stata negata un’indagine indipendente. Ed è mancato anche il riconoscimento delle vittime del terrorismo: d’altro canto la Giornata internazionale a loro dedicata, si celebra il 21 agosto ma è stata istituita solo due anni fa.

«Nel dolore sconvolgente e nella solitudine delle conseguenze della bomba, mi è diventato chiaro che l’operazione in Iraq era stata condannata sin dal suo concepimento. Le migliaia di tonnellate di TNT utilizzate dall’attentatore non solo hanno demolito il nostro posto di lavoro, ma hanno distrutto la fantasia che l’Onu potesse essere un attore indipendente, libero da influenze politiche, un efficace guardiano delle norme e degli standard globali, dei diritti umani e umanitari e i principi».

75 anni di Onu

Ogni anno il 24 ottobre si celebra l’entrata in vigore dello Statuto delle Nazioni Unite. Era il 1945, e quello del 2020 è un anniversario speciale. Ma anche un bivio. A 75 anni dalla sua fondazione, cosa è oggi l’Onu? Quale il suo ruolo? Quale la sua efficacia? Una domanda che appare quasi “blasfema”, se si pensa a un’ideologia progressista e internazionalista.

Ma che emerge, forse sotto traccia, anche nell’altra questione epocale dei nostri tempi: quella migratoria. L’Onu critica, condanna, denuncia, per esempio, l’orrore dei lager libici. Diventa il bersaglio di politiche di destra ma anche di veri e propri attacchi sovranisti. Ma poi il suo apporto reale sul campo cosa riesce a portare?

Annunciando i cambiamenti (non pervenuti) al famoso Memorandum Italia-Libia, l’anno scorso la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese aveva parlato di un più ampio coinvolgimento delle organizzazioni umanitarie nella gestione dei centri di detenzione, nonché di una graduale chiusura dei centri attuali e all’apertura di altri centri, gestiti direttamente da organizzazioni internazionali come le agenzie dell’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

Peccato che le stesse Nazioni Unite, per bocca di Vincent Cochetel, inviato speciale dell’Unhcr per il Mediterraneo centrale, e di Jean-Paul Cavalieri, capo della missione per la Libia dell’Unhcr, abbiano ricordato che i centri di detenzione siano di fatto gestiti dalle milizie. E che le organizzazioni internazionali hanno un accesso limitato e sporadico solo a tre di questi centri.

Un anno fa un’inchiesta di Euronews, fortemente criticata da più parti, sull’operato dell’Unhcr in Libia aveva parlato di «preoccupanti negligenze in termini di assistenza umanitaria nei confronti di migranti e rifugiati che aspettano, a volte per anni, di sapere che ne sarà di loro». In posti dove violenze e stupri sono all’ordine del giorno e che lo stesso Alto Commissario dell’Unhcr, Filippo Grandi, ha definito «campi di concentramento».

«Ci domandiamo perché un’agenzia dell’Onu abbia difficoltà a lavorare in Libia nonostante il governo di Accordo Nazionale sia riconosciuto dall’Onu. Ma, soprattutto, ci chiediamo il perché della mancanza di trasparenza che circonda l’operato dell’agenzia a Tripoli», si legge su Euronews.

«Durante la mia carriera ho assistito al meglio delle Nazioni Unite: rendere un Paese indipendente, dare al suo popolo una voce e un futuro – come è successo a Timor Est nel 1999», scrive sul Guardian Carolina Larriera. E ne ha vissuto anche il peggio, evidentemente, con quel giorno in Iraq nel 2003.

AFP/MIKE NELSON | I leader politici, religiosi, militari e civili kosovari incontrano Bernard Kouchner, il Rappresentante speciale delle Nazioni Unite del Segretario generale per il Kosovo, al primo Consiglio di transizione del Kosovo venerdì 16 luglio 1999. Al centro, Sergio Vieira de Mello (rappresentante ad interim delle Nazioni Unite in Kosovo)

Le Nazioni Unite nascono «per servire la pace, la dignità e gli uguali diritti di tutti gli esseri umani». Come sarebbero cambiate le Nazioni Unite se il successore di Kofi Annan (il cui mandato è scaduto nel 2006) fosse stato come da pronostici Sergio Vieira de Mello e non, come invece è stato, Ban Ki-moon? Carolina Larriera non se lo chiede, ma sottolinea la forza di un futuro che non è stato, spazzato via dal terrorismo. E attacca, l’economista. Attacca – lo ha fatto con sempre maggiore lucidità in questi anni – l’operato delle Nazioni Unite.

«Quest’organizzazione è l’occasione migliore che avrete per realizzare i vostri sogni», diceva lo stesso Vieira de Mello in un video inspiring rivolto a chi sarebbe arrivato a lavorare all’Onu. «E non dimenticate mai: le vere sfide e le vere ricompense al servizio delle Nazioni Unite sono sul campo. Dove la gente soffre. Dove la gente ha bisogno di te».

GABRIEL DE PAIVA/ANSA /JI | I funerali di De Mello a Rio De Janeiro, 26 agosto 2003: a sinistra Gilda Vieira de Mello, mamma del diplomatico, e Carolina Larriera. Gilda Vieira disse che il figlio non voleva andare in Iraq e che lei aveva il presentimento che sarebbe morto lì

L’Onu «non può funzionare con il suo personale in balia della manipolazione delle grandi potenze», è la critica di Carolina Larriera oggi. Una critica che emerge anche dal film, dove tra l’altro è protagonista l’impegno di Sergio Vieira de Mello a emanciparsi dall’influenza dell’occupazione statunitense a Baghdad e i suoi effetti sulla percezione dell’indipendenza dell’operato diplomatico dell’Onu.

Le cui attività sono finanziate mediante contributi in parte obbligatori e in parte volontari versati dagli Stati che ne fanno parte, in proporzioni legate alla grandezza economica delle Nazioni. Quello degli Stati Uniti è rimasto, tra alti e bassi, l’apporto più significativo.

«La verità è che, invece di svolgere un ruolo indipendente per salvaguardare la dignità dei popoli e garantire il rispetto degli obblighi del diritto internazionale, Sergio e io ci siamo trovati a Baghdad come pedine», scrive Carolina. «Questa avrebbe dovuto essere la lezione della tragedia di Baghdad: non puoi operare per portare sicurezza agli esseri umani se sei compromesso in questo modo».

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