Coronavirus, i numeri in chiaro. Il virologo Pregliasco: «Aumenteranno terapie intensive e ricoveri, ma saranno gestibili»

Il direttore sanitario dell’Istituto ortopedico Galeazzi di Milano esclude nuovi lockdown su base regionale: «Nello scenario peggiore, potrebbe essere imposta la chiusura di territori più piccoli»

Undici morti, 1.733 nuovi casi di Coronavirus: non si vedeva un incremento così alto nei contagi dallo scorso 2 maggio. «L’elemento positivo è che queste 1.733 infezioni di oggi non hanno lo stesso valore della prima fase, quella epidemica, del Sars-CoV-2», spiega Fabrizio Pregliasco. Sia perché questo dato va tarato su un numero record di tamponi, 113.085 processati in sole 24 ore, sia perché «una grossa quota di questi casi li osserviamo cercandoli in modo proattivo».


«Addirittura – aggiunge il virologo – una parte consistente dei contagi la individuiamo con i test sierologici, cosa impensabile la scorsa primavera, e si tratta di persone che stanno benissimo dal punto di vista clinico. Ecco, stiamo carotando una parte di malati che prima non vedevamo nemmeno lontanamente». Pregliasco rievoca spesso la metafora dell’iceberg in relazione all’epidemia: la punta, quella che emerge, è composta dai pazienti più gravi. Ma la base, amplissima, è costituita da persone asintomatiche o con sintomi lievi.


Professore, resta il fatto che i casi continuano ad aumentare: se la tendenza è questa qui, presto supereremo la soglia dei 2mila contagi al giorno.

«Si sta osservando una crescita nel numero di casi e, conseguentemente, anche i casi gravi stanno crescendo. Ma la proporzione tra pazienti seri e asintomatici non è paragonabile a quella di qualche mese fa. Adesso si può dire con certezza che più positivi troviamo, più riusciamo a controllare la diffusione del virus: ciò era impossibile nella prima fase dell’epidemia».

Crede che nelle prossime settimane la situazione possa tornare a essere simile a quella della scorsa primavera?

«Non credo, onestamente. La fase epidemica è finita ed è iniziata la fase endemica. Stiamo vivendo un periodo in cui si osserva una tendenza all’omogenizzazione della malattia a livello italiano, anzi a livello europeo, senza però avere territori dove si verificano vere e proprie stragi come è successo nella provincia di Bergamo».

Cosa intende per tendenza all’omogenizzazione?

«È quel processo per cui, con i viaggi e gli spostamenti lavorativi, il virus si sta diffondendo in maniera simile su più territori. Lo abbiamo visto con la nascita di focolai in zone come la Sardegna che, nella prima fase, erano praticamente Covid-free. I focolai si sono trasformati in un incendio più esteso, ma con minore intensità di combustione. Ora toccherà valutare quanto sono permeabili i nostri confini rispetto alle altre Nazioni: la natura ha una tendenza all’entropia, tutto si mescola. Se ci dimentichiamo di insistere con i tamponi dove individuiamo i focolai, allora si potranno creare altri epicentri di contagio gravi».

Prima parlava di iceberg: siamo riusciti a scioglierlo?

«A dicembre e a gennaio, in Italia, è andata a formarsi una grossa base di soggetti asintomatici, rimasta sott’acqua. All’improvviso, tra febbraio e marzo, è emersa all’improvviso la punta di quell’iceberg che non vedevamo. Con il lockdown siamo riusciti a sciogliere la parte di ghiaccio fuoriuscita ed è rimasta la parte di sotto, prevalentemente composta da casi asintomatici. Con i viaggi e la ripresa delle attività lavorative, da quella base stanno emergendo di nuovo alcune punte di quell’iceberg. Fortunatamente, carotando il ghiaccio, continuiamo a vedere la parte buona di questa malattia che, nella gran parte dei casi, è a bassissimo rischio specifico».

Con l’autunno non rischia di crescere la parte in superficie?

«A causa degli sbalzi termici, dello stare in casa, dell’arrivo della stagione influenzale e con lo stress-test delle scuole, mi aspetto che i valori potrebbero avvicinarsi ai livelli dei Paesi che confinano con noi. Ma ripeto: è difficile che torneremo a soffrire come nella scorsa primavera».

Difficile non è sinonimo di impossibile.

«Nulla è impossibile con un virus che non conosciamo ancora alla perfezione, ma ritengo che sia poco probabile un ritorno alla fase epidemica dello scorso aprile. Dovrebbe venir meno, improvvisamente, la capacità diagnostica e, allo stesso tempo, buona parte degli italiani dovrebbe cominciare a non rispettare le regole per evitare il contagio. La scommessa, piuttosto, resta quella di continuare a individuare e a spegnere tempestivamente i focolai. A noi cittadini il compito di non fare sgambetti a chi sta lavorando per raggiungere la massima capacità diagnostica possibile».

Potrebbe essere necessario un secondo lockdown?

«No, è meglio attuare provvedimenti non eccessivi. Piuttosto bisogna fare in modo di inculcare abitudini sistematiche, regole costanti e facili da rispettare che si modellano al contesto e all’evoluzione dei contagi in uno specifico territorio».

Riguardo all’allentamento del rispetto delle norme della settimana di Ferragosto e alle conseguenze di tali comportamenti, possiamo dire che il peggio è passato?

«Non ancora: abbiamo davanti un altro paio di settimane, due cicli di infezione, per vedere gli effetti di quanto successo ad agosto. Aumenteranno le terapie intensive e i ricoveri, in una quantità gestibile certo».

Ci sono dei territori più a rischio di altri?

«I territori sono un po’ tutti sotto attenzione. Il rischio c’è dappertutto. Chiaro che Milano è una città particolare per il numero di persone che si spostano al suo interno, ma lo stesso discorso vale per Bergamo per le sue attività industriali ravvicinate e Napoli per la densità abitativa».

Si immagina una chiusura delle scuole, per esempio, a livello regionale?

«No, personalmente credo che si faranno interventi chirurgici nelle classi dove si verificano dei casi, per l’intero istituto forse. Nella peggiore delle ipotesi potrebbero esserci dei lockdown territoriali, ma chiusure estese a tutta la regione non me le aspetto. Bisogna attrezzarsi affinché le eventuali chiusure delle scuole avvengano con grande tranquillità, permettendo il prosieguo della didattica a distanza».

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