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Coronavirus, un algoritmo calcola il rischio di morte nei pazienti – Lo studio

06 Settembre 2020 - 11:06 Redazione
Lo studio condotto da Università di Firenze, Ospedale Careggi e Fondazione Poliambulanza di Brescia incrocia 6 variabili. Il livello di precisione sarebbe del 90%

Un algoritmo in grado di determinare il rischio di morte dei pazienti affetti da Coronavirus all’arrivo in ospedale, così da poter stabilire rapidamente la destinazione migliore: domicilio oppure ospedale. È il risultato di uno studio condotto dall’Università di Firenze, Ospedale Careggi e Fondazione Poliambulanza di Brescia, che verrà pubblicato sulla rivista BMJ-Open. I ricercatori hanno esaminato 516 pazienti affetti da Covid-19, ricoverati nelle due strutture ospedaliere tra febbraio e aprile. L’obiettivo era generare uno strumento di calcolo delle probabilità di decesso, utilizzando parametri ottenibili entro due ore dall’accesso in Pronto soccorso.

Un sistema del genere aiuterebbe gli ospedali ad alleggerire la pressione di fronte a un improvviso aumento dei casi, e a discernere tra pazienti con svariate condizioni cliniche. Le variabili considerate sono sei: età, patologie croniche, frequenza respiratoria, indice di Horowitz sulla compromissione polmonare, creatinina per valutare la funzionalità renale, conta delle piastrine. Il livello di precisione dell’algoritmo è del 90%.

Dallo studio è inoltre emerso come il rischio di morte nei pazienti ultra 75enni sia otto volte superiore rispetto agli under 62. Il tasso elevato di letalità non riguarda solo anziani con patologie croniche, ma anche anziani sani. L’età media dei 516 pazienti esaminati è di 67 anni, di cui il 67% maschi. 120 i morti (uno su quattro). «Altri gruppi di ricerca hanno proposto criteri per identificare i pazienti più fragili – ha spiegato al Corriere della Sera Niccolò Marchionni, professore ordinario di Geriatria all’Università di Firenze e direttore del Dipartimento Cardiotoracovascolare all’Ospedale Careggi -, ma sono variabili che si modificano velocemente, come il livello di troponina (danno miocardico), o che richiedono tempi più lunghi (misura delle citochine)». «Il nostro obiettivo – ha proseguito il professore – era stratificare il livello di rischio già all’ingresso in Pronto soccorso, velocemente e con precisione».

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