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Quarantena ridotta a 10 giorni, Pregliasco: «Un rischio calcolato». Ma restano i dubbi sul tempo di incubazione più lungo – L’intervista

11 Settembre 2020 - 07:51 Riccardo Liberatore
In Francia il Consiglio di difesa anti-pandemico deciderà se dimezzare la durata della quarantena. In Italia il Comitato tecnico scientifico dovrà decidere se ridurla a 10 giorni. Ma a quali rischi andiamo incontro? Risponde il direttore dell'ospedale Galeazzi di Milano

Il governo italiano sembra apprezzare l’idea francese di una quarantena breve. La proposta di ridurre il numero di giorni di isolamento è stata posta al vaglio del Cts e per il momento la strada maestra pare essere quella di limitare il periodo di quarantena a 10 giorni, anziché 7 come in Francia. Anche in questo caso, i Paesi europei appaiono decisi a muoversi ognuno per conto proprio, senza aspettare che Bruxelles stabilisca delle regole comuni.

Nel frattempo l’Oms si è mostrata inflessibile e ha difeso la raccomandazione di una quarantena di 14 giorni per prevenire la trasmissione del virus, aggiungendo che, nel caso di quarantena abbreviata, sarebbe necessario fare anche dei test. Si tratta di un atteggiamento eccessivamente cauto o guardingo, che punta a mettersi al riparo da eventuali critiche, oppure è l’unica posizione scientificamente corretta?

Per il virologo Fabrizio Pregliasco la posizione dell’Oms è per forza di cose «precauzionale», perché «bisogna ancora confermare i riscontri che abbiamo avuto sul periodo di incubazione e il tasso di contagiosità».

Il periodo di incubazione può arrivare a 14 giorni, ma con quale frequenza?

È questo il nocciolo della questione. Il periodo di incubazione, spiega Pregliasco, è in media di 4-5 giorni, ma può essere più lungo ed arrivare – in alcuni casi – fino ai 14 giorni. «La massima contagiosità avviene nei 5 giorni dall’esordio della malattia – spiega il virologo -. Ci sono quindi una serie di riscontri che ci permettono di dire che probabilmente così si corre un certo rischio, ma si tratta di un rischio limitato».

La quarantena breve permetterebbe una “copertura” di quello che in media è il periodo di massima contagiosità. Ma quale percentuale dei casi ha un tempo di incubazione superiore a una settimana? «Questo è l’elemento al momento mancante, da approfondire per avere un dato più certo», conclude Pregliasco. Difficile immaginare come il Comitato tecnico scientifico possa valutare con precisione a quale rischio andiamo incontro senza sapere con esattezza quale percentuale di casi potrebbe non rientrare in una quarantena più corta.

I fattori da valutare effettivamente sono diversi. «Quel che poi interessa è l’aspetto gestionale e organizzativo di sanità pubblica – continua Pregliasco – perché così possiamo orientare l’utilizzo dei tamponi e la sorveglianza dei nuovi casi che seguiranno». E poi c’è anche un fattore temporale. Meglio introdurre subito la quarantena breve o aspettare qualche tempo per vedere come si modifica la curva dei contagi con la riapertura delle scuole e sopratutto con l’arrivo della stagione autunnale? Pregliasco non ha dubbi: «Meglio aspettare».

Dopotutto la proposta francese nasce come considerazione socio-economica dopo che durante la scorsa settimana era stato rilevato un numero record di casi, con picchi di 9.000 al giorno, grazie anche a un numero elevato di tamponi (oltre 1 milione in una settimana). E tenere decine di migliaia di persone in isolamento per due settimane non è soltanto costoso, è anche poco pratico.

«La prospettiva di una quarantena su 7 giorni rende la cosa più fattibile, perché 14 giorni spaventano. Sono certo che molte persone hanno fatto in modo di schivare la quarantena. In ogni caso – continua Pregliasco – quando si fanno queste scelte su macro scala, il margine di errore c’è sempre, ma viene compensato dal fatto statistico complessivo». Insomma, bisogna calcolare il rischio per capire se possiamo correre un rischio calcolato.

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