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Coronavirus, i numeri in chiaro. L’infettivologa Taliani: «Oltre 50mila casi in 45 giorni, ad aprile ne servirono 102. Punto di forza resta il tracciamento»

22 Settembre 2020 - 20:40 Giada Giorgi
I dati giornalieri non si distanziano di molto dai numeri degli ultimi giorni ma la professoressa dell’Università La Sapienza invita a far luce su un dato in netta controtendenza con il tema del plateu raggiunto

Stabilità è la parola che sembra attualmente rappresentare l’andamento giornaliero dei contagi da Coronavirus in Italia. Il plateu dei 1400/1500 casi al giorno pare sia uno dei dati più costanti delle ultime settimane e che oggi si riconferma con +1391 nuovi positivi, anche al netto dei 30 mila tamponi effettuati in più. Chi però fa riflettere in maniera più ampia sul valore del trend generale è l’immunologa Gloria Taliani che sul discorso della stabilità si dichiara in controtendenza. «Siamo arrivati a più di 300 mila contagi da Coronavirus in tutto il Paese. Una crescita di 50 mila casi in soli 45 giorni, considerando che l’8 agosto eravamo infatti a poco più di 250 mila. Per crescere di 50 mila casi nei mesi di fase acuta della pandemia, e in particolare tra il 28 aprile e l’8 agosto, avevamo impiegato invece 102 giorni. Una differenza importante.

Questo vuol dire che la curva è cominciata a salire e anche molto velocemente. Certo non è quella del 1 marzo o del 22 di febbraio e non si può neanche parlare di seconda ondata, ma sicuramente il trend è in salita. Questo ci fa capire che l’infezione circola in modo più libero o forse anche più riconosciuto. Non è da sottovalutare l’aspetto dei maggiori tamponi effettuati. Siamo arrivati a più di 80 mila test in questo 22 di settembre, il 5 agosto ne facevamo 50 mila, 30 mila il 17».

Si parla attualmente di trasmissione intrafamiliare, per la quale il rientro a scuola sarebbe il principale responsabile. Dopo la questione vacanzieri, i giovani possono considerarsi anche in questo caso i maggiori portatori del virus?

«Sappiamo che i giovani hanno il vantaggio di essere asintomatici. Questo perché sono più resistenti e quindi si infettano di meno. A parità di esposizione è più probabile che si infetti un adulto piuttosto che un giovane. Da qui è possibile anche sicuramente dire che proprio per il fattore dell’asintomaticità i giovani possono essere degli ottimi amplificatori inconsapevoli.

La famiglia in questo momento si delinea come un moltiplicatore del virus anche e soprattutto a causa di bambini e ragazzi asintomatici che uscendo e frequentando di più luoghi affollati, tra cui la scuola, portando l’infezione a casa. Tuttavia, alla luce dell’incremento delle 50mila unità di cui parlavamo prima, bisogna valutare che l’onda dell’incremento è avvenuta fuori dall’effetto scuola, di cui si potrà parlare soltanto tra qualche settimana».

L’aspetto positivo dei dati di oggi qual è?

«Il dato positivo è sicuramente riscontrabile nel numero delle persone ricoverate in terapia intensiva, che non sta crescendo in maniera esponenziale, nonostante la curva in crescita. Questo è un aspetto fondamentale perché ci dice molto sulla capacità di intercettare i nuovi casi per tempo. Il tracciamento precoce fa sì che la malattia non prenda quella china severa che abbiamo purtroppo imparato a conoscere nella fase acuta della pandemia. Stiamo senza dubbio per questo riuscendo ad evitare la parte più grave della malattia».

È questo che ci differenzia dai dati di trasmissione peggiori degli altri Paesi europei?

«Direi di sì. Siamo molto bravi nel tracciamento dei casi e questo lo si può evincere anche dalle ottime percentuali di casi in isolamento che si registrano in alcune delle Regioni italiane con più contagi. In Lombardia i ricoveri sono solo il 3% sul totale dei contagi, il resto sono in isolamento domiciliare. Così in Emilia Romagna con il 4,17%».

Perché i dati di isolamento domiciliare sono particolarmente importanti?

«Perché ci dicono quanti casi positivi sono stati intercettati per tempo. Casi per cui si è rivelato sufficiente isolare le persone appunto in casa piuttosto che optare per il ricovero. Tra le aree più a rischio, i fanalini di coda sono la Campania, con il 7,8% e per ultimo il Lazio, dove la scarsa capacità di tracciamento precoce mantiene a 8,7% i ricoverati. L’isolamento domiciliare rispetto ai ricoveri è un dato dunque che può dirci molto sull’evoluzione della nostra capacità di intercettazione del virus».

A proposito di tracciamento dei casi, il viceministro della Salute Sileri oggi ha parlato di un alto rischio di casi da importazione. L’ombra della seconda ondata sta mettendo in difficoltà molti paesi europei, si rischia un accerchiamento pericoloso?

«Chiaramente la circolazione libera dai Paesi più a rischio come Spagna e Francia va controllata maggiormente, la soluzione di una strategia comune proprio riguardo al tracciamento è uno sforzo doveroso nell’ottica di una linea condivisa. Il rischio è che ci siano delle slabbrature, delle disparità di comportamento che generano e genererebbero inevitabilmente delle falle nel sistema di controllo difficili da gestire».

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