Legge anti-Lgbtq+, la Ue pronta ad azioni contro Orbán. L’Ungheria attacca: «Bruxelles non può dettare ai genitori ungheresi come educare i figli»

Il desiderio della Ue è costringere i Paesi orientali a rimettersi in riga bloccando i fondi europei, di cui sono percettori netti e grandi beneficiari

La Commissione europea vuole far desistere il premier ungherese Viktor Orbán dall’andare avanti con la sua legge anti-LGBTQ+. «Ci aspettiamo una risposta dal governo ungherese sulla legge che vieta la rappresentazione dell’omosessualità ai minori, preferibilmente l’annuncio che la legge non entrerà in vigore, ma se la risposta non sarà soddisfacente non esiteremo ad andare avanti nel processo», ha detto la vice presidente della Commissione Vera Jourova, aggiungendo che «questo potrebbe portare la Corte europea di giustizia a emanare sanzioni economiche contro l’Ungheria». La dichiarazione arriva dopo che Jurova ha inviato una lettera a Budapest in cui si comunica che per Bruxelles la legge «discrimina le persone in base all’orientamento sessuale e viola la libertà di espressione». Jurova però ha anche dovuto ammettere che la legge ungherese non attiverà il meccanismo per rispondere alle violazioni dello stato di diritto nell’Unione europea, dato che non rientra nel regolamento.


Ciò significa che la Commissione non potrà sospendere l’erogazione di fondi comunitari all’Ungheria semplicemente a causa della legge, e arrivare alle sanzioni della Corte di giustizia è un processo molto più lungo, e incerto. Perciò, anche se il monito è inequivocabile nei toni e nella strategia, è altrettanto chiaro che Bruxelles è lontana dal poter colpire Budapest. La risposta magiara non si è fatta attendere. «Nessuno dovrebbe permettere di forzare i genitori ungheresi ad accettare che i loro figli possano ricevere un’educazione sessuale senza il loro esplicito consenso», ha scritto nella lettera all’Ue la ministra della giustizia ungherese Judit Varga «Bruxelles non può dettare ai genitori ungheresi come educare i loro figli», ha aggiunto, difendendo la legge anti-LGBTQ+ e spostando la questione su un piano polemico che non corrisponde esattamente alla realtà delle cose.


Lo scontro tra vecchia e nuova Europa

È l’ennesimo ritorno di uno scontro che ormai caratterizza la vita delle istituzioni di Bruxelles e dei vertici europei. Orbán non cambia mai, e continua a essere il leader più rappresentativo del Gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Cechia e Slovacchia), riunitosi mercoledì 30 giugno a Katowice per inaugurare il turno di presidenza ungherese. L’ultimo negoziato da resa dei conti ha visto Orbán e i suoi alleati mettere il veto sul bilancio europeo per impedire che i soldi del Recovery Fund venissero vincolati al rispetto dello stato di diritto, riuscendo a strappare un compromesso a suo favore. Ma la spaccatura ormai è ideologica e arriva fino alla radice dei valori dell’Unione, come si è visto in modo evidente nell’ultimo Consiglio europeo, in cui Orbán è stato «accerchiato» da quasi tutti gli altri leader per via della sua legge anti-LGBTQ+.

Orbán resta fedele a se stesso

Dopo il vertice Orbán ha tuttavia cercato di rilanciare la sua immagine fuori dall’Ungheria comprando pagine di alcuni giornali europei – come il francese Le Figaro – per illustrare le sue proposte per il futuro dell’Ue, nell’ambito della Conferenza sul futuro dell’Europa. Due giornali belgi però si sono rifiutati di vendere spazio al governo ungherese, pubblicando una pagina di critica e giustificando la decisione con una condanna al comportamento repressivo di Orbán nei confronti della stampa ungherese non allineata al suo governo.

Lo scontro promette di allargarsi. Secondo fonti di Bloomberg, l’Ue sta lavorando a una potenziale azione legale contro la Polonia per le sue violazioni dei diritti LGBTQ+. Varsavia mette in pratica già da tempo leggi discriminatorie e politiche repressive peggiori di quelle che ha in mente Orbán, una delle quali è l’istituzione delle famigerate «LGBT free zones» istituite da alcuni comuni. La procedura della Commissione sarà rivolta propria a queste «zone libere». Alla metà dell’anno scorso quasi un terzo dei comuni polacchi aveva istituito zone di questo tipo, spesso dopo le pressioni di gruppi ultraconservatori. A marzo il ministro francese per gli affari europei Clement Beaune – omosessuale dichiarato – è stato in Polonia per visitare alcune di queste città, ma Varsavia gli ha impedito di farlo con il pretesto del Covid-19. L’azione legale dell’Ue dovrebbe arrivare entro fine luglio. 

Affamare «la bestia»

L’Ue sta combattendo da anni con Polonia e Ungheria sulle questioni relative alle violazioni dello stato di diritto, ma finora le procedure non hanno portato a punizioni concrete, né a un cambio di atteggiamento dei governi polacco e ungherese. Anche queste procedure rischiano di diventare un’altra lunga battaglia che Budapest e Varsavia riusciranno a scrollarsi di dosso, forti di un equilibrismo legislativo ormai collaudato. Inoltre, Orbán e i suoi hanno alleati importanti anche in paesi della Vecchia Europa, e il primo tra questi è l’Italia. Oggi, giovedì 1°luglio, il leader della Lega Matteo Salvini ha rivendicato con una lettera al Corriere della Sera la sua affinità con i governi di Ungheria e Polonia, una posizione identica a quella della leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni.

Il desiderio degli europeisti più intransigenti è costringere i paesi orientali a rimettersi in riga bloccando i fondi europei, di cui sono percettori netti e grandi beneficiari. Quest’anno la Commissione è stata dotata di un nuovo potere che, in teoria, gli consente di trattenere i trasferimenti dal bilancio settennale e del Recovery Fund per violazioni dello stato di diritto, ma ciò vale solo se Bruxelles riesce a dimostrare che le azioni di Budapest e Varsavia hanno un impatto diretto sulle finanze dell’Ue. Poi c’è l’approvazione dei Recovery Plan, che oltre che per la Commissione devono passare anche per il via libera del Consiglio, un passaggio da risolvere tra leader entro fine luglio.

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