Primo via libera al Recovery Plan: cosa succede adesso? La corsa dell’Italia per non perdere la sfida europea

Con il via libera all’Ecofin l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza può iniziare. Anche se l’orizzonte del Recovery Fund è di sei anni il governo Draghi si gioca tutto nel 2021

Martedì il Consiglio dei ministri dell’economia e delle finanze dell’Unione europea – noto come Ecofin – ha dato il via libera ai Recovery Plan dei primi 12 paesi: Italia, Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Lettonia, Lussemburgo, Portogallo, Slovacchia e Spagna. Si tratta dell’ultimo passo prima del trasferimento, probabilmente entro luglio, del prefinanziamento pari al 13% dell’ammontare complessivo assegnato a ciascun piano. Per il 26 luglio l’Ecofin ha in agenda una riunione straordinaria per approvare altri quattro Recovery Plan (Croazia, Cipro, Lituania e Slovenia), mentre nove piani rimangono in fase di valutazione alla Commissione europea. Restano in sospeso le proposte di Bulgaria e Olanda, che ancora non hanno inviato i piani.


«È un giorno importante, è la vera partenza dei Recovery Plan e del Next generation EU. Nelle prossime settimane il pre-finanziamento arriverà a questi 12 paesi e credo sia importante che l’approvazione finale arrivi esattamente quando la ripresa è in corso, perché rafforzerà la fiducia nei mercati e consentirà a investimenti e riforme di cominciare», ha detto il commissario all’economia Paolo Gentiloni. «Quello che succederà nei prossimi, mesi, anni è la parte decisiva di questo programma straordinario e senza precedenti», ha aggiunto. «I finanziamenti dell’Ue possono presto iniziare a fluire per finanziare riforme e investimenti. Ora bisogna concentrarsi sul metterli in pratica in modo rapido e corretto», ha scritto un tweet il vice presidente della Commissione Valdis Dombrovskis, che nei giorni scorsi ha affermato che nonostante il momento di incertezza e i mesi che abbiamo di fronte, il 2021 può diventare l’anno dell’uscita dalla pandemia.


Cosa significa per l’Italia

Guardando oltre la soddisfazione per la fumata bianca dell’Ecofin, con il via libera di ieri il Recovery Fund è pronto a iniziare davvero, a un anno dal Consiglio europeo straordinario di luglio dell’anno scorso. Ma come emerge dalle parole dei commissari, l’obiettivo del Recovery Fund non è alimentare un nuovo boom economico con una pioggia di miliardi, ma supportare gli Stati membri nell’attuazione delle riforme strutturali di cui hanno bisogno. Rispetto al passato non è una svolta da poco: dieci anni fa si chiedeva di fare riforme e attuare dolorose politiche di austerity, ora vengono stanziate risorse per sostenere le riforme e accompagnarle a investimenti. Le riforme strutturali sono facili da proporre, molto complesse da portare avanti nel processo legislativo ed estremamente difficili da attuare sul campo. Nel caso dell’Italia il pacchetto di riforme del Piano nazionale di ripresa e resilienza è un impegno programmatico tra i più ambiziosi di sempre, il Corriere della Sera ha stimato 190 misure, 132 investimenti e 58 riforme.

Il governo Draghi si gioca tutto nel 2021

Entro la fine di luglio l’Italia avrà accesso alla prima tranche di finanziamenti pari a 24,9 miliardi di euro tra sovvenzioni e prestiti, prima della fine dell’anno è prevista una seconda tranche, vicina alla stessa cifra. Per ottenere questi soldi Roma si è impegnata a realizzare entro dicembre le riforme della Giustizia e della Pubblica amministrazione, oltre a una nuova legge sull’insolvenze aziendali, una riforma del regolamento per gli appalti pubblici e un nuovo sistema di incentivi per l’efficienza energetica. Riforme che da decenni infiammano il dibattito politico, e questo solo per il 2021. Per l’anno prossimo il governo si è impegnato ad altre riforme di sistema come l’introduzione di una nuova regolamentazione per l’efficienza energetica, cambiare il modo in cui vengono assunti gli insegnanti, digitalizzare il sistema scolastico e misure per promuovere le start-up e il venture capital nel settore degli investimenti verdi.

Anche se l’orizzonte del Recovery Fund è il 2026, la maggior parte dei nodi del Pnrr vanno sciolti nei primi due anni, le risposte sui risultati del piano italiano arriveranno molto presto. Non è difficile capire perché il Pnrr è stato progettato così, Mario Draghi è a capo di un governo che nella migliore delle ipotesi non andrà oltre la scadenza naturale di inizio 2023, con la concreta possibilità che fra poco più di sei mesi Draghi decida di «salire» al Quirinale per succedere al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, riaprendo la partita per Palazzo Chigi.

Le riforme davvero difficili sono quelle per il 2021 (Giustizia e Pubblica amministrazione) e Draghi ha la possibilità di sfruttare il momento eccezionale per realizzarle in tempo, ma come con tutte le riforme, il diavolo è nei dettagli e nell’attuazione. Puoi riformare la magistratura, ma non puoi garantire che i giudici diventino più efficienti e trasparenti, lo stesso vale per la Pubblica amministrazione. Roma sta usando la breve finestra temporale di un governo tecnico per dare il via all’agenda di riforme più politica e ambiziosa dal dopoguerra, senza che sia possibile identificare (almeno per ora) una maggioranza disposta a farsi realmente carico di questa eredità. Cosa potrebbe andare storto?

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