Il caso di Eitan Biran e la Convenzione dell’Aja: ecco cosa prevede il testo sul rapimento dei minori

La zia paterna del bambino ha chiesto l’attivazione della procedura speciale in vigore sia in Israele che in Italia: in cosa consiste e quali potrebbero essere le contromosse degli altri parenti

L’avvocata Cristina Pagni, che assiste la zia paterna di Eitan Biran Aya, ha parlato oggi con il giudice tutelare del bambino, unico sopravvissuto alla tragedia della funivia Stresa-Mottarone, per chiedere l’attivazione della Convenzione dell’Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori. Ratificata sia da Israele che dall’Italia, la Convenzione si può utilizzare nei casi di sottrazione internazionale di minore, ovvero quando un minore avente la residenza abituale in un determinato Stato è condotto in un altro Stato senza il consenso del soggetto che esercita la responsabilità genitoriale, che comprende il diritto di determinare il luogo di residenza abituale del minore. La Convenzione dell’Aja del 1980 si applica nelle relazioni tra gli Stati che l’hanno firmata o vi hanno aderito. È stata ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 15 gennaio 1994. Il ministero della Giustizia spiega che le procedure previste si applicano in questi casi:


  • lo Stato di residenza abituale prima della sottrazione e lo Stato in cui il minore è stato portato (Stato di rifugio) hanno entrambi ratificato o aderito alla Convenzione dell’Aia del 1980 e hanno reciprocamente accettato l’adesione dell’altro Stato;
  • il minore sottratto ha meno di sedici anni di età. Al compimento del sedicesimo anno, la procedura si interrompe, anche se è già in fase giudiziaria;
  • la persona che richiede il ritorno è il titolare della responsabilità genitoriale sul minore e al momento della sottrazione esercitava effettivamente le corrispondenti funzioni.

La titolarità della responsabilità genitoriale e i relativi diritti e doveri vanno verificati alla luce della legislazione in vigore nello Stato in cui il minore aveva la sua residenza abituale prima del trasferimento. L’articolo 8 della Convenzione spiega che chi ha il diritto di chiedere il ritorno del bambino può rivolgersi all’autorità centrale della residenza abituale del minore per assicurare il suo ritorno. La domanda deve contenere le informazioni sull’identità del richiedente e del minore, i motivi per esigere il suo rientro e ogni altro documento pertinente. La risposta deve essere data con urgenza e se non arriva entro sei settimane si può inoltrare un ulteriore reclamo.


Cosa dicono le leggi sul caso di Eitan

L’articolo 12 della Convenzione però riporta anche un altro aspetto: «L’Autorità giudiziaria o amministrativa, benché adita dopo la scadenza del periodo di un anno di cui al capoverso precedente, deve ordinare il ritorno del minore, a meno che non sia dimostrato che il minore si è integrato nel suo nuovo ambiente». L’articolo 13 invece segnala direttamente i motivi per cui l’autorità statuale non è tenuta a ordinare il rientro, ovvero se chi si oppone al rientro dimostra:

  • che la persona, l’istituzione o l’ente cui era affidato il minore non esercitava effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento o del mancato rientro, o aveva consentito, anche successivamente, al trasferimento o al mancato ritorno;
  • che sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, ai pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile;

Esiste anche un’altra possibilità di opposizione al ritorno. Ovvero se lo stesso minore rapito si oppone e «ha raggiunto un’età ed un grado di maturità tali che sia opportuno tener conto del suo parere». Un parere congiunto di esperti dei ministeri degli Esteri e della Giustizia israeliani ha già sancito che quello che ha fatto Schmuel Peleg può essere definito un rapimento. Il Tribunale aveva ordinato l’11 agosto il divieto di espatrio del bambino che sarebbe potuto avvenire solo con l’accompagnamento o l’autorizzazione della tutrice. La Procura indaga per sequestro di persona e presto iscriverà Peleg nel registro degli indagati. L’uomo, ex militare israeliano, continua a ripetere, come gli altri familiari materni tra cui la zia Gali Peleg che è in Israele, che non avrebbe commesso un rapimento ma che avrebbe agito per il bene del piccolo. Peleg è assistito dai legali Sara Carsaniga, Paolo Sevesi e Paolo Polizzi.

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