Otto milioni di tonnellate di plastica, tra mascherine, guanti e altri prodotti legati alla gestione del Covid-19 sono state riversate nell’ambiente. Di queste, almeno 25 mila tonnellate sono finite negli oceani. È un altro dei prezzi da pagare per la pandemia di Coronavirus. Lo rivela uno studio condotto dall’Università di Nanchino, in Cina, e dalla University of California di San Diego, negli Stati Uniti. Il report è stato pubblicato dalla National Academy of Sciences. La pandemia ha portato a un drastico aumento del consumo di plastica e il lockdown ha comportato un aumento degli acquisti online e, di conseguenza, degli imballaggi. «Sfortunatamente, il trattamento dei rifiuti di plastica non ha tenuto il passo con l’aumento della domanda. I rifiuti non gestiti vengono quindi scaricati nell’ambiente e una parte raggiunge l’oceano», si legge nel report. La quantità di plastica sfuggita agli impianti di smaltimento, infatti, oscilla tra 4,4 e 15,1 milioni di tonnellate. Circa l’88% della plastica in eccesso proviene dagli ospedali, i dispositivi di protezione individuale come le mascherine, invece, incidono per circa l’8%, mentre la plastica derivante dallo shopping online contribuisce per il 5%.
Gran parte dei rifiuti, circa il 46%, è prodotto in Asia, al secondo posto c’è l’Europa con il 24% e poi il Nord e il Sud America con il 22%. Secondo la ricerca, 25,9 mila tonnellate di plastica finiscono negli oceani percorrendo i maggiori fiumi. Entro la fine dell’anno, il 71% di questi rifiuti si sarà depositata sulle spiagge, il rimanente si distribuirà più o meno equamente tra i fondali e la superficie marina con ricadute pesantissime sugli ecosistemi e sulla vita marina: «Sono già stati segnalati alcuni casi di intrappolamento e ingestione di rifiuti Covid-19 da parte di organismi marini, che hanno persino portato alla morte», scrivono i ricercatori. Tra le aree che più preoccupano c’è l’Artico che, per via delle particolari correnti, è un vicolo cieco per il trasporto dei detriti: circa l’80% dei detriti di plastica scaricati nell’Oceano Artico affonderà rapidamente e si prevede che entro il 2025 si formerà una zona circumpolare di accumulo di plastica.
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