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Raul Esteban Calderon: chi è l’uomo accusato dell’omicidio di Fabrizio Piscitelli in arte Diabolik

raul esteban calderon fabrizio piscitelli diabolik
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Lui ed Enrico Bennato accusati di essere gli autori materiali di un delitto maturato in ambienti di droga e narcotraffico. Il "Grande Raccordo Criminale" della mala romana sotto la lente degli inquirenti

Si chiama Raul Esteban Calderon, è argentino e ha 52 anni l’uomo accusato dell’omicidio di Fabrizio Piscitelli in arte Diabolik. L’omicidio dell’ex ultras della Lazio avvenne il 7 agosto 2019 al Parco degli Acquedotti a Roma. Il fermo del 52enne è stato convalidato ieri dal gip di Roma con l’accusa di omicidio aggravato dal metodo mafioso. E secondo gli inquirenti si tratta della stessa persona che il 20 settembre 2020 ha ucciso Shevaj Selavdi a Torvajanica in spiaggia. Non da solo, visto che nell’occasione c’era con lui, sempre secondo chi indaga, Enrico Bennato, pregiudicato e imparentato con il boss. Loro sono solo gli esecutori materiali di un delitto maturato in ambienti di droga e narcotraffico.

Grande Raccordo Criminale

Piscitelli, secondo la ricostruzione degli inquirenti, si era messo in testa di ritagliarsi un ruolo nel mercato della droga romano. Nel 2013 era stato arrestato perché stava cercando, in società con Paolo Diana, di trovare un accordo con il boss della camorra Michele Senese per importare hashish dalla Spagna. All’epoca la Guardia di Finanza sequestrò a Diabolik una villa da due milioni di euro a Grottaferrata. Negli anni successivi l’inchiesta Grande Raccordo Criminale portò alla luce l’accordo tra Piscitelli e Alessandro Telich detto Tavoletta, che di professione faceva il tecnico informatico e gli forniva sistemi anti-intercettazione.

Grazie a quelle ambientali di Fabrizio Fabietti, storico braccio destro dell’ex ultras della Lazio, gli inquirenti scoprirono un giro d’affari di 120 milioni di euro fondato sullo spaccio di hashish e cocaina. Con compravendite da 250 chili per la polvere bianca e di 4.250 chili per il “fumo”. La Stampa pubblica oggi un’intercettazione ambientale di una cena per sancire la pax mafiosa ad Ostia: «Vabbé, dai, risolviamo questa cosa. Anche perché, poi, non conviene a nessuno, no Fabrì? », diceva Salvatore Casamonica a Piscitelli in un ristorante di Grottaferrata. Secondo il gip Corrado Cappiello, i due «dichiaravano apertamente che stavano fungendo da “garanti” di un accordo tra i due gruppi contrapposti (clan Spada e quello guidato da Marco Esposito, detto «Barboncino» ndr), sottolineando l’importanza del suo rispetto».

Una telecamera di troppo

In questo clima matura l’omicidio di Piscitelli al Parco degli Acquedotti. I cui mandanti vanno ricercati, spiega oggi Repubblica, tra chi controlla i prezzi del mercato della droga. Piscitelli, secondo i pm, aveva inondato la Capitale di droga grazie all’accordo con una banda collegata agli albanesi. Vicino a lui c’era Leandro Bennato, il fratello di Enrico, gambizzato quattro mesi dopo la morte di Diabolik. L’indagine è partita da una telecamera di un’abitazione privata che aveva ripreso l’omicidio. Le immagini rivelavano un killer travestito da runner che si avvicina alla vittima e gli sparava un colpo alla nuca. Da lì si acquisiscono elementi ed intercettazioni. Poi arriva l’omicidio di Torvajanica. I carabinieri puntano su Calderon. La polizia collega i due delitti. Il 13 dicembre scorso è scattato il fermo nei confronti del cittadino argentino. Ieri è arrivata la convalida dell’arresto. Bennato era già in carcere da maggio: aveva provato a dare fuoco al portone di una donna che molestava.

Nel filmato è ripresa l’intera azione: il killer, con indosso abbigliamento da runner, si avvicina a Piscitelli e dopo avere sparato a bruciapelo con una calibro 9, scappa via. «Dall’analisi tecnica del filmato dell’omicidio eseguita prima dalla polizia Scientifica e successivamente dal consulente tecnico incaricato dalla procura – spiega una nota diffusa dalla Procura capitolina – è emersa una chiara compatibilità tra il killer visibile nel filmato e il soggetto gravemente indiziato». Il prossimo step dell’indagine della Dda sarà capire chi ha armato la mano di Calderon.

Calderon e la Banda della Magliana

L’argentino ha un curriculum criminale di tutto rispetto. Nato a Buenos Aires nel 1969, è arrivato in Italia alla fine degli Anni Novanta. Il suo primo arresto risale al 2003: stava tentando di rubare una Fiat Panda sul litorale. Dopo averlo colto in flagrante, i poliziotti lo ritrovano nascosto sotto un tir parcheggiato nel molo di Azzurra. A Roma si specializza in furti d’auto e rapine in banca. Uno dei suoi complici è Augusto Giuseppucci, fratello di Franchino Er Negro, considerato uno dei fondatori della Banda della Magliana. Tra le sue gesta anche una rapina in una gioielleria a Grosseto che risale al 2016. Nell’occasione tra i travestimenti suoi e dei suoi complici c’è una parrucca bionda e un passeggino, dentro al quale la banda nasconde le armi.

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