Ultrà ucciso, striscione al Colosseo. Chi era Diabolik: «Aveva debiti, il tifo non c’entra»

Fabrizio Piscitelli è stato ucciso in pieno giorno al Parco degli Acquedotti a Roma. Si indaga per omicidio aggravato dal metodo mafioso

«Nessuno ti spara alle spalle per questioni di tifo, questa è roba da criminali. Tra tifoserie non ci si comporta così». A parlare all’Agi è un ex ultrà della Lazio, amico di Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, uno dei capi degli Irriducibili della Lazio, ucciso ieri, 7 agosto, con un colpo di pistola alla testa al Parco degli Acquedotti, a Roma. L’autopsia sul corpo dell’ultrà sarà effettuata oggi, 8 agosto, all’istituto di Medicina legale dell’Università di Tor Vergata. L’assassino avrebbe finto di fare jogging per confondersi tra la folla. Si indaga per omicidio aggravato dal metodo mafioso. Secondo Vincenzo, questo il nome dell’intervistato, Piscitelli «aveva debiti per questioni di droga. Quando nel 2016 gli hanno sequestrato tutto il patrimonio (un sequestro da milioni di euro, ndr), compresa la villa dove abitava, non si è più rialzato». La notte tra il 7 e l’8 agosto, in zona Colosseo, è stato appeso uno striscione al ponte degli Annibaldi: «Diablo vive», c’era scritto, firmato Irriducibili. Quando è arrivata la volante della Polizia, lo striscione è stato arrotolato e rimosso: gli agenti hanno sorpreso e identificato cinque persone che potrebbero averlo appeso.


Chi era Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik

Diabolik – ricostruisce Agi – era uno dei volti più conosciuti della Curva Nord dello Stadio Olimpico. Aveva 53 anni e il suo nome era stato più volte accostato al traffico internazionale di droga. Nel 2016 Diablo aveva subìto un sequestro da 2 milioni di euro e della sua villa a Grottaferrata, provvedimento che era poi stato annullato in Cassazione. Secondo la direzione distrettuale antimafia, Piscitelli sarebbe stato coinvolto in un traffico proveniente dalla Spagna. A gennaio del 2015 fu condannato con altri 3 capi ultrà nel processo di primo grado sulla scalata alla Lazio: secondo le accuse, Piscitelli e gli altri avrebbero minacciato il presidente della Lazio Lotito per indurlo a cedere il club a un gruppo farmaceutico ungherese, di cui Giorgio Chinaglia – bomber e volto storico della Lazio dello scudetto del 1974, a sua volta coinvolto nel processo – sarebbe stato il portavoce.


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